Suore Domenicane di S. Caterina da Siena Provincia d'Italia
Prolunghiamo nell'oggi il desiderio di S. Domenico, S. Caterina e Madre Gérine di contemplare e annunciare la misericordia del Padre e andiamo dove la Parola ci chiama per essere annunciata, con mani sempre tese verso ogni forma di debolezza e di miseria, perché ognuno conosca che è amato da Dio Verità, che libera e salva. Diventiamo così annunciatrici della Parola che umanizza ed evangelizza ogni realtà, trasfigurandola.
domenica 15 gennaio 2017
Suore Domenicane di S. Caterina da Siena Provincia d'Italia: Cammino missionario
Suore Domenicane di S. Caterina da Siena Provincia d'Italia: Cammino missionario: CAMMINO MISSIONARIO 2016 - 2017 PROSSIMO INCONTRO lunedì 30 gennaio 2017 ore 21:00 a Torino c/o Parrocchia di S. Fr...
domenica 1 gennaio 2017
Suore Domenicane di S. Caterina da Siena Provincia d'Italia: Giornata mondiale della pace: 1 gennaio 2017
Suore Domenicane di S. Caterina da Siena Provincia d'Italia: Giornata mondiale della pace: 1 gennaio 2017: La nonviolenza: stile di una politica per la pace All’inizio di questo nuovo anno porgo i miei sinceri auguri di pace ai popoli e a...
Giornata mondiale della pace: 1 gennaio 2017
La nonviolenza: stile di una politica per la pace
All’inizio di questo nuovo anno
porgo i miei sinceri auguri di pace ai popoli e alle nazioni del mondo, ai Capi
di Stato e di Governo, nonché ai responsabili delle comunità religiose e delle
varie espressioni della società civile. Auguro pace ad ogni uomo, donna,
bambino e bambina e prego affinché l’immagine e la somiglianza di Dio in ogni
persona ci consentano di riconoscerci a vicenda come doni sacri dotati di una
dignità immensa. Soprattutto nelle situazioni di conflitto, rispettiamo questa
«dignità più profonda» e facciamo della nonviolenza attiva il nostro stile
di vita.
Questo è il Messaggio per la 50ª
Giornata Mondiale della Pace. Nel primo,
il beato Papa
Paolo VI si rivolse a tutti i popoli, non solo ai cattolici, con
parole inequivocabili: «E’ finalmente emerso chiarissimo che la pace è l’unica
e vera linea dell’umano progresso (non le tensioni di ambiziosi nazionalismi,
non le conquiste violente, non le repressioni apportatrici di falso ordine
civile)». Metteva in guardia dal «pericolo di credere che le controversie
internazionali non siano risolvibili per le vie della ragione, cioè delle
trattative fondate sul diritto, la giustizia, l’equità, ma solo per quelle
delle forze deterrenti e micidiali». Al contrario, citando la Pacem in
terris del suo predecessore san Giovanni XXIII, esaltava
«il senso e l’amore della pace fondata sulla verità, sulla giustizia, sulla
libertà, sull’amore». Colpisce l’attualità di queste parole, che oggi non sono
meno importanti e pressanti di cinquant’anni fa.
In questa occasione desidero
soffermarmi sulla nonviolenza come stile di una politica di pace e
chiedo a Dio di aiutare tutti noi ad attingere alla nonviolenza nelle
profondità dei nostri sentimenti e valori personali. Che siano la carità e la
nonviolenza a guidare il modo in cui ci trattiamo gli uni gli altri nei
rapporti interpersonali, in quelli sociali e in quelli internazionali. Quando
sanno resistere alla tentazione della vendetta, le vittime della violenza
possono essere i protagonisti più credibili di processi nonviolenti di
costruzione della pace. Dal livello locale e quotidiano fino a quello
dell’ordine mondiale, possa la nonviolenza diventare lo stile caratteristico
delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della
politica in tutte le sue forme.
Un mondo frantumato
Il secolo scorso è stato devastato
da due guerre mondiali micidiali, ha conosciuto la minaccia della guerra
nucleare e un gran numero di altri conflitti, mentre oggi purtroppo siamo alle
prese con una terribile guerra mondiale a pezzi. Non è facile sapere se il
mondo attualmente sia più o meno violento di quanto lo fosse ieri, né se i
moderni mezzi di comunicazione e la mobilità che caratterizza la nostra epoca
ci rendano più consapevoli della violenza o più assuefatti ad essa.
In ogni caso, questa violenza che
si esercita “a pezzi”, in modi e a livelli diversi, provoca enormi sofferenze
di cui siamo ben consapevoli: guerre in diversi Paesi e continenti; terrorismo,
criminalità e attacchi armati imprevedibili; gli abusi subiti dai migranti e
dalle vittime della tratta; la devastazione dell’ambiente. A che scopo? La
violenza permette di raggiungere obiettivi di valore duraturo? Tutto quello che
ottiene non è forse di scatenare rappresaglie e spirali di conflitti letali che
recano benefici solo a pochi “signori della guerra”?
La violenza non è la cura per il
nostro mondo frantumato. Rispondere alla violenza con la violenza conduce,
nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e a immani sofferenze,
poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte
alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli
anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo. Nel
peggiore dei casi, può portare alla morte, fisica e spirituale, di molti, se
non addirittura di tutti.
La Buona Notizia
Anche Gesù visse in tempi di
violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia, in cui si affrontano la
violenza e la pace, è il cuore umano: «Dal di dentro infatti, cioè dal cuore
degli uomini, escono le intenzioni cattive» (Mc 7,21). Ma il messaggio
di Cristo, di fronte a questa realtà, offre la risposta radicalmente positiva:
Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie
e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici (cfr Mt 5,44) e
a porgere l’altra guancia (cfr Mt 5,39). Quando impedì a coloro che
accusavano l’adultera di lapidarla (cfr Gv 8,1-11) e quando, la notte
prima di morire, disse a Pietro di rimettere la spada nel fodero (cfr Mt
26,52), Gesù tracciò la via della nonviolenza, che ha percorso fino alla fine,
fino alla croce, mediante la quale ha realizzato la pace e distrutto
l’inimicizia (cfr Ef 2,14-16). Perciò, chi accoglie la Buona Notizia di
Gesù, sa riconoscere la violenza che porta in sé e si lascia guarire dalla
misericordia di Dio, diventando così a sua volta strumento di riconciliazione,
secondo l’esortazione di san Francesco d’Assisi: «La pace che annunziate con la
bocca, abbiatela ancor più copiosa nei vostri cuori».
Essere veri discepoli di Gesù oggi
significa aderire anche alla sua proposta di nonviolenza. Essa – come ha
affermato il mio predecessore Benedetto XVI – «è realistica, perché tiene
conto che nel mondo c’è troppa violenza, troppa ingiustizia, e
dunque non si può superare questa situazione se non contrapponendo un di più
di amore, un di più di bontà. Questo “di più” viene da Dio». Ed
egli aggiungeva con grande forza: «La nonviolenza per i cristiani non è un mero
comportamento tattico, bensì un modo di essere della persona, l’atteggiamento
di chi è così convinto dell’amore di Dio e della sua potenza, che non ha
paura di affrontare il male con le sole armi dell’amore e della verità. L’amore
del nemico costituisce il nucleo della “rivoluzione cristiana”». Giustamente il
vangelo dell’amate i vostri nemici (cfr Lc 6,27) viene
considerato «la magna charta della nonviolenza cristiana»: esso non
consiste «nell’arrendersi al male […] ma nel rispondere al male con il bene
(cfr Rm 12,17-21), spezzando in tal modo la catena dell’ingiustizia».
Più potente della violenza
La nonviolenza è talvolta intesa
nel senso di resa, disimpegno e passività, ma in realtà non è così. Quando
Madre Teresa ricevette il premio Nobel per la Pace nel 1979, dichiarò
chiaramente il suo messaggio di nonviolenza attiva: «Nella nostra famiglia non
abbiamo bisogno di bombe e di armi, di distruggere per portare pace, ma solo di
stare insieme, di amarci gli uni gli altri […] E potremo superare tutto il male
che c’è nel mondo». Perché la forza delle armi è ingannevole. «Mentre i
trafficanti di armi fanno il loro lavoro, ci sono i poveri operatori di pace
che soltanto per aiutare una persona, un’altra, un’altra, un’altra, danno la
vita»; per questi operatori di pace, Madre Teresa è «un simbolo, un’icona dei
nostri tempi». Nello scorso mese di settembre ho avuto la grande gioia di
proclamarla Santa. Ho elogiato la sua disponibilità verso tutti attraverso
«l’accoglienza e la difesa della vita umana, quella non nata e quella
abbandonata e scartata. […] Si è chinata sulle persone sfinite, lasciate morire
ai margini delle strade, riconoscendo la dignità che Dio aveva loro dato; ha
fatto sentire la sua voce ai potenti della terra, perché riconoscessero le loro
colpe dinanzi ai crimini – dinanzi ai crimini! – della povertà creata da loro
stessi». In risposta, la sua missione – e in questo rappresenta migliaia, anzi
milioni di persone – è andare incontro alle vittime con generosità e dedizione,
toccando e fasciando ogni corpo ferito, guarendo ogni vita spezzata.
La nonviolenza praticata con
decisione e coerenza ha prodotto risultati impressionanti. I successi ottenuti
dal Mahatma Gandhi e Khan Abdul Ghaffar Khan nella liberazione dell’India, e da
Martin Luther King Jr contro la discriminazione razziale non saranno mai
dimenticati. Le donne, in particolare, sono spesso leader di nonviolenza, come,
ad esempio, Leymah Gbowee e migliaia di donne liberiane, che hanno organizzato
incontri di preghiera e protesta nonviolenta (pray-ins) ottenendo
negoziati di alto livello per la conclusione della seconda guerra civile in
Liberia.
Né possiamo dimenticare il decennio
epocale conclusosi con la caduta dei regimi comunisti in Europa. Le comunità
cristiane hanno dato il loro contributo con la preghiera insistente e l’azione
coraggiosa. Speciale influenza hanno esercitato il ministero e il magistero di
san Giovanni Paolo II. Riflettendo sugli
avvenimenti del 1989 nell’Enciclica Centesimus annus (1991), il mio
predecessore evidenziava che un cambiamento epocale nella vita dei popoli,
delle nazioni e degli Stati si realizza «mediante una lotta pacifica, che fa
uso delle sole armi della verità e della giustizia». Questo percorso di
transizione politica verso la pace è stato reso possibile in parte
«dall’impegno non violento di uomini che, mentre si sono sempre rifiutati di
cedere al potere della forza, hanno saputo trovare di volta in volta forme
efficaci per rendere testimonianza alla verità». E concludeva: «Che gli uomini
imparino a lottare per la giustizia senza violenza, rinunciando alla lotta di
classe nelle controversie interne ed alla guerra in quelle internazionali».
La Chiesa si è impegnata per
l’attuazione di strategie nonviolente di promozione della pace in molti Paesi,
sollecitando persino gli attori più violenti in sforzi per costruire una pace
giusta e duratura.
Questo impegno a favore delle vittime
dell’ingiustizia e della violenza non è un patrimonio esclusivo della Chiesa
Cattolica, ma è proprio di molte tradizioni religiose, per le quali «la
compassione e la nonviolenza sono essenziali e indicano la via della vita». Lo
ribadisco con forza: «Nessuna religione è terrorista». La violenza è una
profanazione del nome di Dio. Non stanchiamoci mai di ripeterlo: «Mai il nome
di Dio può giustificare la violenza. Solo la pace è santa. Solo la pace è
santa, non la guerra!».
La radice domestica di una
politica nonviolenta
Se l’origine da cui scaturisce la
violenza è il cuore degli uomini, allora è fondamentale percorrere il sentiero
della nonviolenza in primo luogo all’interno della famiglia. È una componente
di quella gioia dell’amore che ho presentato nello scorso marzo
nell’Esortazione apostolica Amoris
laetitia, a conclusione di due anni di riflessione da parte
della Chiesa sul matrimonio e la famiglia. La famiglia è l’indispensabile
crogiolo attraverso il quale coniugi, genitori e figli, fratelli e sorelle
imparano a comunicare e a prendersi cura gli uni degli altri in modo
disinteressato, e dove gli attriti o addirittura i conflitti devono essere
superati non con la forza, ma con il dialogo, il rispetto, la ricerca del bene
dell’altro, la misericordia e il perdono. Dall’interno della famiglia la
gioia dell’amore si propaga nel mondo e si irradia in tutta la società.
D’altronde, un’etica di fraternità e di coesistenza pacifica tra le persone e
tra i popoli non può basarsi sulla logica della paura, della violenza e della
chiusura, ma sulla responsabilità, sul rispetto e sul dialogo sincero. In
questo senso, rivolgo un appello in favore del disarmo, nonché della
proibizione e dell’abolizione delle armi nucleari: la deterrenza nucleare e la
minaccia della distruzione reciproca assicurata non possono fondare questo tipo
di etica. Con uguale urgenza supplico che si arrestino la violenza
domestica e gli abusi su donne e bambini.
Il Giubileo della Misericordia,
conclusosi nel novembre scorso, è stato un invito a guardare nelle profondità
del nostro cuore e a lasciarvi entrare la misericordia di Dio. L’anno giubilare
ci ha fatto prendere coscienza di quanto numerosi e diversi siano le persone e
i gruppi sociali che vengono trattati con indifferenza, sono vittime di
ingiustizia e subiscono violenza. Essi fanno parte della nostra “famiglia”,
sono nostri fratelli e sorelle. Per questo le politiche di nonviolenza devono
cominciare tra le mura di casa per poi diffondersi all’intera famiglia umana.
«L’esempio di santa Teresa di Gesù Bambino ci invita alla pratica della piccola
via dell’amore, a non perdere l’opportunità di una parola gentile, di un
sorriso, di qualsiasi piccolo gesto che semini pace e amicizia. Una ecologia
integrale è fatta anche di semplici gesti quotidiani nei quali spezziamo la
logica della violenza, dello sfruttamento, dell’egoismo».
Il mio invito
La costruzione della pace mediante
la nonviolenza attiva è elemento necessario e coerente con i continui sforzi
della Chiesa per limitare l’uso della forza attraverso le norme morali,
mediante la sua partecipazione ai lavori delle istituzioni internazionali e
grazie al contributo competente di tanti cristiani all’elaborazione della
legislazione a tutti i livelli. Gesù stesso ci offre un “manuale” di questa
strategia di costruzione della pace nel cosiddetto Discorso della montagna. Le
otto Beatitudini (cfr Mt 5,3-10) tracciano il profilo della persona che
possiamo definire beata, buona e autentica. Beati i miti – dice Gesù –, i
misericordiosi, gli operatori di pace, i puri di cuore, coloro che hanno fame e
sete di giustizia.
Questo è anche un programma e una
sfida per i leader politici e religiosi, per i responsabili delle istituzioni
internazionali e i dirigenti delle imprese e dei media di tutto il mondo:
applicare le Beatitudini nel modo in cui esercitano le proprie responsabilità.
Una sfida a costruire la società, la comunità o l’impresa di cui sono
responsabili con lo stile degli operatori di pace; a dare prova di misericordia
rifiutando di scartare le persone, danneggiare l’ambiente e voler vincere ad
ogni costo. Questo richiede la disponibilità «di sopportare il conflitto,
risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento di un nuovo processo». Operare
in questo modo significa scegliere la solidarietà come stile per fare la storia
e costruire l’amicizia sociale. La nonviolenza attiva è un modo per mostrare
che davvero l’unità è più potente e più feconda del conflitto. Tutto nel mondo
è intimamente connesso. Certo, può accadere che le differenze generino
attriti: affrontiamoli in maniera costruttiva e nonviolenta, così che «le
tensioni e gli opposti [possano] raggiungere una pluriforme unità che genera
nuova vita», conservando «le preziose potenzialità delle polarità in
contrasto».
Assicuro che la Chiesa Cattolica
accompagnerà ogni tentativo di costruzione della pace anche attraverso la
nonviolenza attiva e creativa. Il 1° gennaio 2017 vede la luce il nuovo
Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, che aiuterà la Chiesa
a promuovere in modo sempre più efficace «i beni incommensurabili della
giustizia, della pace e della salvaguardia del creato» e della sollecitudine
verso i migranti, «i bisognosi, gli ammalati e gli esclusi, gli emarginati e le
vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i
disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura». Ogni
azione in questa direzione, per quanto modesta, contribuisce a costruire un
mondo libero dalla violenza, primo passo verso la giustizia e la pace.
In conclusione
Come da tradizione, firmo questo
Messaggio l’8 dicembre, festa dell’Immacolata Concezione della Lc 2,14). Chiediamo alla Vergine di farci da guida.
Beata Vergine
Maria. Maria è la Regina della Pace. Alla nascita di suo Figlio, gli angeli
glorificavano Dio e auguravano pace in terra agli uomini e donne di buona
volontà (cfr
«Tutti desideriamo la pace; tante
persone la costruiscono ogni giorno con piccoli gesti e molti soffrono e
sopportano pazientemente la fatica di tanti tentativi per costruirla». Nel
2017, impegniamoci, con la preghiera e con l’azione, a diventare persone che
hanno bandito dal loro cuore, dalle loro parole e dai loro gesti la violenza, e
a costruire comunità nonviolente, che si prendono cura della casa comune.
«Niente è impossibile se ci rivolgiamo a Dio nella preghiera. Tutti possono
essere artigiani di pace».
Dal Vaticano, 8 dicembre 2016
Francesco
sabato 31 dicembre 2016
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