Esperienze di missione 2014/2015

... e la staffetta continua con Sara a Napoli ... (ottobre-dicembre 2014)
I puntata ... 

Ho percorso più di mezza Italia in poche ore e non me ne sono neanche accorta, la prossima volta devo ricordarmi di prendere un posto finestrino. Il paesaggio scorre in senso contrario rispetto alla direzione del mio sedile, quasi a dirmi di lasciare indietro ciò che non serve, tanto il treno va avanti veloce lo stesso. O magari è solo un caso, in fondo, se mi fossi seduta solamente due posti più avanti avrei visto Napoli spalancarmisi davanti. Invece la città nasce piano piano, con il Vesuvio che mi copre le spalle. Ad accogliermi c'è la caoticità di Napoli all'ora di pranzo, dove sulla metropolitana "puoi dimenticarti che ti facciano scendere prima di salire", ma poi ecco i vicoli e i sorrisi dei bambini, con un cartello di benvenuto. In questo tempo ho cercato di entrare in punta di piedi nella quotidianità di casa Efraim, fatta di bambini, cucina, compiti, pulizie, giochi, preghiera... non in questo ordine e importanza! Ogni mattina, dopo lodi e colazione, ognuno si divide nei propri impegni: telefonate, riunioni, programmazione, cucina, pulizie, visite per le comunioni. Io ascolto le esigenze, se posso aiuto, o mi dedico un po' allo studio. Sono partita anche per raccogliere materiale per la tesi, che avrà una base antropologica, quindi i Quartieri sono come un libro, da leggere con attenzione, senza cadere in facili preconcetti. Intorno alla mezza mi sposto in cucina, da dove arriva il profumo del pranzo, si apparecchia almeno per sette persone. Sono quattro i bambini che aspettano sempre le suore usciti da scuola, questo mese c'è anche un piccolino dell'asilo, poi un bimbo che dorme qui per un'emergenza in casa, a volte un educatore, a volte un volontario... la tavola è sempre animata! Dopo pranzo, e soprattutto dopo il caffè, arrivano gli altri bambini, che mangiano a casa, si gioca un po' e alle tre ci si siede intorno al tavolo. Qualche avviso, com'è andata la scuola, due chiacchiere e i compiti da fare, che si iniziano tra una lamentela e un sorriso; poi ancora giochi e merenda. Per ora ci si saluta alle 17, visto che il progetto della casa è da poco ricominciato e devono partire altre attività, ma la giornata non è ancora finita: qualche bambino rimane ancora per i compiti, ci si confronta sulla giornata, una bambina ritorna per la cena. Intorno alle 22 inizia a calare il silenzio, ma solo nella casa, dal cortile interno infatti, le voci, prima dei piccoli poi dei grandi, durano almeno per un'altra oretta.


Nel weekend la casa è più tranquilla, ci si riposa, si fa qualche lavoro, si esce: abbiamo partecipato al Mondiale dei giovani del Sermig, siamo state al Santuario di Madonna dell'Arco per una professione perpetua, abbiamo visitato Sorrento. Ogni giornata è scandita da urgenze quotidiane: storie che si intrecciano, richieste d'aiuto, gravidanze inattese, malattie... L'incertezza sembra farla da padrona, ma le situazioni si risolvono, con il tempo, e l'attesa, condita dalla preghiera, è una cara compagna. L'ordinarietà diventa straordinaria, nel senso di “fuori dall'ordinario”, ogni vita esce dal tracciato, e spesso lo stupore è solo mio; mi ha colpito una suora che, raccontando una situazione che ha affrontato, ha detto “Ho rimesso gli occhiali della normalità”, mi fa pensare che la normalità, la norma, sia strettamente personale e che ci vogliano nuove lenti per leggere questa realtà. Sentirsi accolti in Casa Efraim è facile, si condivide pressoché tutto, dal malessere alla notizia del giorno. È la realtà fuori ad essere più oscura e travolgente, il rumore dei motorini è il sottofondo di ogni spostamento, le urla per parlarsi a pochi centimetri di distanza, la musica che esce alta dalle case, i vicoli stretti, i fili dei panni stesi, i “servizi” (le pulizie) del sabato mattina, le strade consumate dai passi. Sono stata testimone del passaggio alla raccolta differenziata, che significa niente più cassonetti straripanti e sacchetti davanti ai portoni, ma piazzette più pulite e ordine davanti ai palazzi. La novità sembra essere stata ben accolta, ho sentito più persone scambiarsi informazioni sulla nuova metodologia di raccolta ed è bello vedere i bambini continuare a giocare a calcio ma in una piazzetta senza bidoni. Prima di partire la frase che tutti gli adulti mi hanno ripetuto è "Stai attenta!", un ammonizione dettata da paura e preoccupazione. É proprio un consiglio che voglio seguire: prestare attenzione a ogni minima sfumatura, a tutte le sfaccettature che renderanno Napoli casa per questi mesi.
Un giorno, da una casa uscivano forti le note di “Show must go on” dei Queen, mi sembra descriva bene la realtà che sto vedendo...

II puntata ... 
La migliore colonna sonora per iniziare a scrivere queste righe è “Scétate scè” del musical Scugnizzi, il testo è in napoletano, ma ad un orecchio attento (e non solo allenato come il mio in questo momento) è comprensibile.
É la canzone che accompagna l'attività con gli adolescenti nella casa di giù, la casetta come la chiamiamo, l'appartamento (che sta davvero al piano inferiore rispetto alla casa delle suore) che l'associazione è riuscita a prendere in affitto grazie a un progetto finanziato dal Ministero del Lavoro e Politiche Sociali, chiamato appunto "Progetto Scétate". Scétate, svegliati, datti da fare, e la grande sveglia gialla suona, per ricordarti che sei vivo, stai respirando e non puoi fare altro che aprire gli occhi e tirarti su le maniche, iniziare a lavorare, per te, per gli altri, con gli altri.
Della canzone mi colpisce il verso
Sbatte cu 'a capa dint' 'o muro e chianu chiano ogni paura te passarrà
Ma ce sta sempe 'a paciénza ca nun ce abbandona ce sta speranza pe' chi è malamente e chi è bbuóno
Napule ce vo' bbène e nun ce po' 'ngannà”
Riassume un po' i miei pensieri di questi due mesi, in cui ho sbattuto la testa contro un muro (capa e muro, come dicono i bambini quando qualcuno inciampa), il muro di abitudini, usanze, caratteri, espressioni diverse “dalle mie”, da quelle a cui ero abituata. Così si è formato un bernoccolo, di quelli che fanno male all'inizio, ma poi li senti solo se li tocchi, ti lasciano il segno, ma solo se ti metti davanti allo specchio. Senza dimenticare pazienza e speranza, come l'olio e il sale che condiscono l'insalata quotidiana.
A proposito di muro, la prima esperienza che abbiamo fatto con i ragazzi del progetto è stato scrivere su un muro (di carta) le proprie paure e ostacoli e, armati di martello, l'abbiamo buttato giù. Abbiamo poi scelto nuovi mattoni, fatti di sentimenti positivi, volontà, determinazione, per costruire un nuovo muro sul quale arrampicarsi e volare, senza dimenticare i vuoti da oltrepassare e le ferite che ci accompagnano. Tra le crepe del muro è stato colato dell'oro, perché, alla maniera giapponese, ciò che è rotto non venga buttato, i pezzi siano raccolti e ricomposti, lasciando cicatrici come segno di ciò che ha ferito ma non ucciso. Il risultato è nella foto, un murales che rappresenta i 23 adolescenti partecipi di questa nuova avventura, che li vede anche coinvolti nella pulizia e assemblaggio della casa: hanno lavato cassetti e finestre, montato tende e orologi, spostato mobili e dipinto mensole. Infatti, dal primo incontro, sulla porta d'ingresso c'è la scritta “Work in progress”, lavori in corso, perché abbiamo iniziato a vivere la casa quando non era ancora completata; il cartello “stiamo lavorando per voi” è stato subito sostituito da “stiamo lavorando per noi”, con l'obiettivo di far sentire i ragazzi a casa propria, non solo offrire uno spazio, ma invitarli a viverlo davvero come il proprio spazio, pensato per e soprattutto da loro.
Da alcune settimane, al mattino, la casa si è aperta anche ai genitori: alcune psicologhe, volontarie dell'associazione, ascoltano le esperienze delle madri, consigliandole nel loro percorso con i figli. A breve inizieranno anche dei gruppi di ascolto e accompagnamento alla genitorialità, già ben accolti dalla comunità.
In questo mese, non solo nelle riunioni per organizzare le attività per gli adolescenti, ho riflettuto sul concetto di casa e mi sono  fermata ad osservare e ascoltare le case dei Quartieri. È difficile rappresentare i vicoli dei Quartieri a chi non li ha mai visti: i palazzi sono quasi tutti di almeno quattro piani, con così poca distanza  da poter stendere i panni tra una facciata e l'altra; la maggior parte degli edifici è “sgarrupata”, numerosi sono gli scrostamenti e le crepe, i colori dei muri sono chiari, i tetti sono piatti. I portoni dei palazzi sono grandi, un tempo vi passavano le carrozze, ma ora il segno del tempo è ben visibile, i muri e i garage sono pieni di scritte e molti sono stati dipinti da un artista (Ciop&Kaf). Ciò che mi colpisce sempre è l'apparente mancanza di regole e di grazia nella costruzione degli edifici: strutture addossate, incastrate, piani aggiunti, piccole finestre e gigantesche terrazze, pianerottoli affollati da sedie e nessun giardino, scale sconquassate e ascensori a pagamento, stendini sulla strada e panarielli calati dalle finestre, tufo e cemento. Ogni volta che guardo un palazzo mi chiedo come si faccia ad arrivare ai piani superiori, al piano terra infatti si trovano le porte e le finestre dei “bassi”, o' vascio, abitazioni che stanno al livello della strada, generalmente formate da un'unica stanza, soppalcata, “senza soppalco non puoi vivere in un basso”, mi dicono. Spesso la porta è aperta e mi ritrovo a guardare dentro,  violando l'intimità del focolare, ma il caldo che si crea nel locale e le faccende domestiche rendono inevitabile l'apertura dell'unico accesso alla casa. Sono curiosa, ma che ci sarà mai da vedere dentro una casa? Mi vergogno di girare sempre il collo davanti all'uscio aperto, ma forse il problema me lo pongo solo io, infatti continuano ad esserci porte e finestre spalancate, decorate da una figura, femminile, che sembra guardare distrattamente fuori, in realtà ha il preciso controllo di ciò che accade, non solo nella strada davanti a lei, ma in tutta la zona. Tantissimi bassi diventano negozi: c'è una signora che ha, fuori dalla porta, una teca con i dolciumi che vende, un basso è il deposito di bombole a gas che vengono velocemente consegnate su vespe appositamente modificate, il negozietto di alimentari si rivela molto più grande del suo stretto ingresso...


Con i ragazzi del gruppo dopo-comunione e medie e del gruppo di teatro siamo andati a vedere un film nel cui cast ci sono due ragazzi della parrocchia. Il film evidenzia la situazione scolastica nel napoletano, ma prima di farmi colpire da questo aspetto ho osservato la dinamica del pomeriggio: ci siamo trovati in sacrestia e con 31 ragazzi ci siamo spostati verso il cinema, distante dieci minuti a piedi. È stato molto bello vivere le impressioni del quartiere alla visione di questa scia di ragazzi che si muovevano tutti insieme: il bambino che ferma il pallone e sbarrando gli occhi dice “Ma andate tutti al cinema!?”, la fruttivendola che ci saluta affettuosamente, i motorini che ci danno la precedenza. Vicino alla casa delle suore vi è un complesso scolastico con scuola materna, elementare e media; il portone, durante le ore di lezione, si confonde con quello delle abitazioni vicine. Mi è capitato di accompagnare e andare a prendere i bambini a scuola, il momento dell'entrata e dell'uscita è sempre caotico, ancor di più senza un cortile: i genitori infatti aspettano i figli sul vicolo, tra il traffico dei motorini che sfrecciano e i movimenti dei negozi limitrofi. Vi è una seconda uscita, dalla quale passano le medie e i più piccoli, che da su uno spiazzo, affollatissimo intorno alle 13, collocato tra il venditore abusivo di sigarette e l'impalcatura sulla facciata dell'oratorio. Alla scuola manca una palestra, anzi c'è ma è esterna e quando chiedo ai bambini come si fa ginnastica quando piove (sì piove anche qui a Napoli!) mi rispondono che si resta in classe.
Anche molti bambini della casa rientrano nell'alta percentuale di scolari che “odia la scuola”, mi spaventa però la ferma convinzione di coloro che vedono la fine del proprio percorso scolastico in terza media e il pensiero ritorna alla scena del film in cui il dirigente scolastico scrive dal suo studio, nel bagno dei maschi. Dal film che abbiamo visto al cinema la scuola napoletana esce fortemente colpita e sminuita, lo evidenzia bene una delle ultime battute “Al sud non è che non realizziamo i sogni, è che abbiamo smesso di sognare”; in realtà, nonostante le numerose difficoltà, il quadro che mi si dipinge davanti non ha tinte così scure.
Per iniziare l'Avvento, tempo di gioia, condivido il dialogo con una bambina, come semino piantato in questo periodo di attesa: uscendo dal palazzo per mano, incrociamo una donna incinta e sento che la sua mano mi stringe più forte e mi dice tutta contenta “Aspetta un bimbo!”. Io ho visto la ragazza e il pancione, non ho avuto reazioni, ma la felicità della bambina vicino a me è troppa perché la sua altezza la contenga tutta e iniziamo a parlare di maternità. Lei subito mi dice: “Sara, pensa che bello quando avrai un bimbo tu!”, non mi dà neanche il tempo di riflettere su quello che ha appena detto che sposta il pensiero su di lei, mamma, in ospedale, con tanti bimbi. I suoi occhi sono così limpidi e sognanti che mi faccio trascinare in questo turbinio natalizio: prima penso ad una mamma, che voleva abortire, ma grazie alle preghiere e all'aiuto che le suore (e le tante persone che hanno preso a cuore la neonata) stanno offrendo alla sua famiglia, ora è al quinto mese. Poi penso al 25 dicembre , luce durante la veglia, e infine penso a sorridere alla bambina che affianco a me mi ricorda ogni giorno la splendente bellezza della vita.




STAFFETTA MISSIONARIA 2014 - Paramonga 1-26 agosto 2014
News da Paramonga

Questa volta il testimone passa a Martina e vola fino in Perù ... 
….è arrivato il momento di partire! Dopo l’esperienza ai Quartieri Spagnoli di Napoli, il percorso continua! E se l’unico cammino è “scendere”, io provo ad accogliere l’invito di uscire e scendere a condividere un po’ di strada e un po’ di vita con los hermanos peruanos! Cercherò di assaporare e custodire ogni momento ed ogni incontro per raccontarvelo e portarvi un po’ con me per le strade di Lima.Un ringraziamento a chi mi ha accompagnato fino a qui e a tutte le persone che mi accoglieranno in Perù. 
Un abrazo, Martina 

Un giro al mercato per iniziare ad inculturarsi ... 



Dopo 4 aeroporti, 3 aerei, un bel ritardo, una meravigliosa alba a Rio e 0 bagagli persi eccomi arrivata a Lima. Ad accogliermi ci sono hermana Barbarita e hermana Elisa. Il bello di non sapere cosa ti aspetta sta anche nella scoperta che la comunità che ti ospiterà sta a 4 ore di viaggio in autobus da Lima. È stato un viaggio avventuroso su un autobus che di primavere ne ha viste, ma che mi ha regalato immagini e paesaggi spettacolari! Finalmente arriviamo a Paramoga, una cittadina al nord della provincia di Lima e (mi dicono) primo distretto agro alimentare del Perù. Qui vivono las hermanas Barbarita, Elisa, Fernanda, Mercedes e Genoveffa.
Un giorno a Paramonga

La giornata inizia con la visita al mercato con hermana Elisa. Usciamo e camminando per la via principale di Paramonga chiedo ad Elisa perché tutti suonano continuamente il clacson e mi dice che se osservo bene tutti suonano il clacson invece di frenare! E in effetti è proprio così, essendo la guida un poselvaggia, ognuno fa un po quello che vuole, continuano a suonare e poi (eventualmente) frenano! C'è davvero un caos incredibile per le strade, ma per loro sembra la cosa più naturale del mondo!

Arriviamo al mercato e quello che si vede come prima cosa è una distesa di "banchi" improvvisati con frutta e verdura circondati da moto taxi lungo la strada e un sacco di cani randagi che girano tranquillamente tra la gente. Ci addentriamo nella parte più coperta e anche un po più organizzata, talmente organizzata che ad un certo punto Elisa mi fa notare un banco con un servizio "just in time" di polli, ovvero, nel retro si vedono delle casse enormi con dei polli vivi che a richiesta vengono subito "matados", spennati e sono pronti per essere cucinati! Sono sincera, la sensazione è un po strana! Ci fermiamo per comprare un po di verdura e la titolare del banco mi guarda ed esclama: "que ojos!". Parliamo un po con lei e poi proseguiamo. Camminando penso alla sua esclamazione e realizzo che effettivamente qui non sono proprio abituati a vedere persone con gli occhi chiari! Acquistato tutto quello di cui avevamo bisogno, torniamo verso casa e ci mettiamo ai fornelli. A pranzo conosco il parroco di questa comunità, un uomo semplice, originario della "Sierra" (la parte più interna e montuosa del Perù) che parla uno spagnolo "stretto" (a volte poco comprensibile) e che mi racconta come è rimasto ben impressionato dalla Germania, dove si è fermato per un breve periodo. Parla del popolo tedesco come di un popolo onesto, leale, di cui ti puoi fidare. Dopo la siesta accompagno hermana Genoveffa per alcune commissioni e il giro per il paese si trasforma in racconto a cielo aperto sulla storia di Paramonga: mi racconta di quando la fabbrica di carta e di zucchero era una proprietà privata, che ad un certo punto è stata espropriata ed è diventata una cooperativa. Il progetto cooperativo però è fallito e dopo un po di speculazione ora la proprietà delle fabbriche e della maggior parte dei terreni e beni immobili della cittàappartiene al signor Wong, un imprenditore con origini cinesi che gestisce anche una famosa catena di supermercati in Perù. Da qualsiasi parte del paese e per tutto il giorno si può vedere l'enorme nube di fumo che esce dalla ciminiera della fabbrica di zucchero e che sicuramente èuno dei motivi per cui qui non si vede quasi mai il sole. La ciminiera non è molto alta e questo fa si che il fumo si disperda direttamente sulle colline che circondano Paramonga dove vivono le persone e le famiglie più povere. Sono persone che si sono trasferite qui per lavoro e non potendosi permettere una casa in centro hanno iniziato ad occupare e costruire le proprie case in collina. Il fumo che arriva dalla fabbrica ha causato e continua a causare molti problemi di salute per queste persone, che non hanno nemmeno un ospedale di riferimento. Nonostante i 30.000 abitanti circa, Paramonga non ha un ospedale, o meglio, la struttura c'è, ma èabbandonata, perché il Sig. Wong quando decise di acquistare le fabbriche e la maggior parte degli immobili di Paramonga decise anche che l'ospedale non era un investimento interessante e nessun altro lo prese in carico.

E' quasi sera e las hermanas sono state invitate ad una novena per la "cruz de Motupe" una croce costruita da un sacerdote e molto venerata dalla gente. Qui sono molto diffuse queste forme di venerazioni popolari per le statue dei Santi, icone ecc... e  ad ogni anniversario festeggiano con novene, processioni e celebrazioni varie. Arriviamo e mi ritrovo davanti ad una specie di altare con un sacco di decorazioni, fiori, luci di natale (con musichetta inclusa). In alto si intravede la croce rivestita con una specie di mantellino decorato. Condividiamo un momento di preghiera e meditazione della parola e alla fine "vamos a compartir papa a la huancaína": un piatto tipico perviano con patate bollite, una salsa leggermente piccante, uova e una foglia di insalata. E da bere? Ovviamente Inka Kola! La bevanda analcolica preferita dai peruviani. E' gialla e ha il sapore di big babol frizzante! Con una descrizione simile capisco che non vi viene voglia di provarla ma vi assicuro che è buona.
Un giorno a Tunan
Ora vi porto con me e hermana Mercedes a Tunan, un piccolo pueblo vicino a Paramonga in direzione della Sierra. Appena arrivate ci fermiamo in una piccola bottega per comprare due confezioni di marmellata e poi ci avviamo verso casa di Pedro e Rosita. Prendiamo la strada che va verso i campi, attraversiamo un piccolo canale dove le donne vanno a lavare i panni e continuiamo a camminare in mezzo alle coltivazioni di canna da zucchero fino ad arrivare su una sponda di un torrente secco. E proprio lì c'è l'entrata di casa di Rosita. Io realizzo solo dopo che quel passaggio tra le canne di bambù è l'ingresso di casa, del suo mondo intoccabile senza pareti, tra le piante di mango. La chiamiamo, ma lei non risponde. Proseguiamo e poco lontano c'è casa di Pedro, il fratello di Rosita. Eccoli, sono lì che escono per vedere chi c'è e poi tornano nella baracca, come per nascondersi. Entriamo per salutare e dall'ondata di fumo che ci travolge ci accorgiamo che stanno preparando il pranzo. Sono entrambi malati, Pedro parla un po mentre Rosita non dice una parola, tutta la sua attenzione va alla zuppa che sta cucinando. Hermana Mercedes chiede un po di cose a Pedro e non so come, ad un certo punto ci ritroviamo a parlare dei mondiali di calcio! Ebbene si, Pedro era più informato di me, che non è molto difficile se si parla di calcio, ma è incredibile come viva in condizioni al limite dell'inimmaginabile e sia informato sui mondiali e sui calciatori più bravi! Poi ci racconta che alla sera a volte va "in centro" a Tunan e lì, guardando la tv da qualche parte, sta la fonte di tutto il suo sapere. Gli lasciamo qualcosa da mangiare e da bere e li salutiamo. Prima erano "Rosita y Pedro", semplicemente due nomi, ora sono due volti, due storie, due hermanos che non dimenticherò mai. Torniamo verso il centro di Tunan dove incontriamo Marta, la "referente" della suore per questo paesino. Ci racconta di Anton (Antonio Victor) un anziano con una situazione un po delicata e decidiamo di andarlo a trovare. Al primo sguardo si incontra un viso sofferente. Ha 83 anni, un ernia inguinale e poco tempo fa lavorando nei campi è caduto ed un ferro si è infilato nella sua gamba. Non so con quale forza e coraggio èriuscito a toglierselo e fare in modo che qualcuno chiamasse l'ambulanza (che qui c'è da solo un mese). Ora fisicamente sta un po meglio ma non può lavorare, non ha nessun sostegno economico, ha dei conti in sospeso da sanare e la sua compagna l'ha praticamente abbandonato perché è un uomo incapace di provvedere al "cibo". Parliamo un po con lui e cerchiamo di convincerlo a trasferirsi a Paramonga in una casa di accoglienza per anziani, così da poter ricevere tutte le cure necessarie, ma lui non vuole. Come Rosita e Pedro, lui vuole rimanere a casa sua e poter lavorare, così da sistemare la sua situazione. E anche in questo caso mi chiedo: "qual è il modo migliore per aiutarli?". Mentre i pensieri viaggiano, la visita continua e bussiamo ad un'altra porta. Ci apre una ragazza che ci accompagna da Alan, un ragazzo che all'età di 8 anni è stato investito sulla strada che attraversa Tunan dove macchine e camion corrono come in un gara di rally. Ora si ritrova paralizzato su una sedia a rotelle, ma ha uno sguardo che ti fa intuire immediatamente che capisce e nonostante tutto ti sorride. Quello che mi lascia senza parole e non mi spiego è che Alan si trova in una stanza a mangiare da solo, mentre gli altri sono in cucina. Infine incontro Ester, una simpatica signora che sogna l'Italia. Sono quasi le 17.00 e torniamo a Paramonga con gli occhi, il cuore e la testa scossi, da una specie di terremoto che non trova spazio per disperdere la sua forza. Rimango in attesa delle scosse di assestamento, nel frattempo continuo a camminare.






ESPERIENZA IN ALBANIA DAL 13 AL 27 LUGLIO 2014

ESPERIENZA IN ALBANIA
Mi chiamo Caterina Trentin e faccio parte della parrocchia S. Carlo Borromeo di Ponte della Priula (Treviso). Dal giorno 13 luglio 2014 al giorno 27 luglio 2014 ho trascorso, insieme ad altri tre volontari del Gruppo Quetzal Onlus, due settimane in Albania con i bambini dell'orfanotrofio di Valona, organizzando attività ludiche e ricreative e seguendoli durante la giornata, a sostengo delle dipendenti del centro e con la collaborazione dei volontari locali, i ragazzi dell' "Ala di Riserva". L'orfanotrofio di Valona si trova nei pressi del centro della città ed è una struttura a tre piani con un cortile di cemento nella parte anteriore e un prato con dei giochi nella parte posteriore. Il primo piano è occupato dalla cucina, dalla sala da pranzo e dalla toilette. Il secondo piano è invece riservato alle stanze dei bambini dai tre ai sette anni, mentre il terzo piano è occupato dai bambini dagli zero ai due anni. 
Il primo giorno, dopo l'arrivo in traghetto a Valona, ci siamo subito recati all'orfanotrofio per conoscere i bambini: loro ci sono corsi incontro sorridendo felici, abbracciandoci e riempiendoci di baci, chiedendo a ciascuno di noi il nome. Da quel giorno in avanti, per tutte e due le settimane successive, avrebbero urlato i nostri nomi vedendoci camminare verso l'orfanotrofio per raggiungerli. Tutte le mattine successive due dei volontari si recavano al mare con i sedici bambini più grandi per fare il bagno e giocare con la sabbia, mentre altri due volontari restavano al centro con i dieci neonati. Per permettere anche ai bambini del terzo piano di respirare un po'
di aria fresca, visto il gran caldo di Valona, abbiamo ricoperto l'intero terrazzo di tappeti, coperte e cuscini, facendoli poi giocare all'aperto. I bambini erano davvero molti mentre il personale scarseggiava, quindi in quelle due settimane ognuno di noi ha dovuto occuparsi di qualsiasi cosa fosse praticamente utile al momento: cambiare pannolini, lavare i bambini, dar loro da mangiare, giocare con loro, farli addormentare. Per quanto riguarda le attività pomeridiane esse sono state tra le più varie: abbiamo colorato dei cartelloni con le mani insieme ai bambini, disegnato, giocato con i palloni e con le biciclette, giocato a prendere e scappare, e infine ballato le danze tipiche albanesi. 
E' stata l'esperienza più difficile e allo stesso tempo che più mi abbia arricchito della mia intera vita. Conservo nel cuore il ricordo di ognuno di quei bambini, i loro volti sorridenti e il loro amore nei confronti di tutti noi, unito alla speranza di poter tornare presto a fare parte della loro vita. 
Caterina

ESPERIENZA A NAPOLI QUARTIERI SPAGNOLI DAL 12 AL 23 LUGLIO 2014

Siamo in partenza ... Domani arriveremo a Napoli per iniziare questa nuova avventura. Vi aggiorneremo appena possibile. Ciao a tutti.

 Federica C., Cristina, Corrada, Federico, Sr. Stefania, Federica B., Sr. Barbara, Marta


I Puntata
La nostra esperienza a Napoli è iniziata. Ecco alcune foto:

TUTTI IN PISCINA ...










ANCHE NOI ALLA PARTITA ARGENTINA-GERMANIA!




 LABORATORI


II Puntata
Ecco altre foto: scorci dei Quartieri...



     Gita al parco

TUTTI AL MARE ... 



III Puntata

Anche per quest’anno la nostra esperienza a Napoli si è conclusa. Abbiamo vissuto momenti di gioia, di condivisione, di famiglia … Siamo stati accompagnati da testimoni che hanno condiviso con noi la loro quotidianità: a Scampia fratel Enrico ci ha raccontato il senso della presenza della sua comunità religiosa e del servizio che tutti insieme portano avanti nel quartiere; alla Sanità Sr. Lucia ci ha mostrato la realtà nella quale si trova a vivere; a Forcella don Angelo ci ha regalato un po’ del suo tempo per raccontarci la sua esperienza; a Parco Verde don Maurizio ci ha fatto conoscere il problema delle terre dei fuochi e ci ha parlato a lungo del suo impegno per sensibilizzare le autorità al grande problema dei rifiuti tossici. E poi, ai Quartieri Spagnoli con Sr. Cinzia, Sr. Evelina, Sr. Paola, Sr. Laura, Ciro e Alessio abbiamo toccato con mano una quotidianità fatta di servizio, di ascolto, di pazienza, di sostegno, di coraggio … una quotidianità disposta a condividere le tante contraddizioni del quartiere, le fatiche delle famiglie, le scelte a volte dolorose “che fanno crescere la vita” … perché “il Verbo si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”!  
Ci piacerebbe condividere con voi la rilettura che abbiamo fatto del Vangelo di Mt 13,24-43, testo che ci ha accompagnato per tutta l’esperienza e che ci ha aiutato a scoprire il Regno di Dio che diventa vita.

Il regno dei cieli è simile a

un cuscino per sognare ad occhi aperti. Per noi che “siamo condannati alla speranza” è importante saper sognare con le persone che si incontrano …
una scala. La prendi per salire o per scendere … è un movimento del cuore, è l’umiltà di cambiare idea sulle realtà …


il bicchiere di plastica con cui Ciro faceva le torri di sabbia. Il missionario è chi offre la propria vita, che dà una testimonianza di vicinanza, che dà un esempio a livello educativo ma che poi lascia liberi di seguirlo …
un paio di sandali. Permettono di camminare per andare incontro agli altri e … ci fanno sporcare …
una mano tesa. Una mano ti permette di prendere una sola cosa per volta … l’incontro è unico. È vivere nell’attenzione di ogni persona che incontri, eliminando preconcetti e pregiudizi …
una molletta. Permette di tenere insieme i panni, può essere spostata e, ad un certo punto, lascia ciò che teneva stretto …
un indice rivolto verso l’alto per indicare “un oltre” …


Un saluto a tutti e un grazie a quanti ci hanno accompagnato con il ricordo e la preghiera.


STAFFETTA MISSIONARIA DAL 4 APRILE AL 2 LUGLIO 2014 

STAFFETTA MISSIONARIA 2014

NOTIZIE DAL BENIN
(dal 10 aprile al 2 luglio 2014)


Francesca è partita il 4 aprile da Torino per vivere un'esperienza di servizio e di condivisione a Cotonou, in Benin.  Ecco che cosa ci scrive: …

I puntata ... 10 aprile 2014

"Yovo, yovooo!" sono le prime parole che ti senti urlare, specialmente dai bambini, quando cammini per le strade di Cotonou. Significano "persona bianca" in una delle lingue beninesi, il fon, la più parlata della città. Non sono molti i bianchi qui e quando ci sono danno nell'occhio! Per chi invece conosci personalmente e per i bambini a cui dedichi il tuo tempo e il tuo servizio sei "tata". Nessuno di loro in realtà ti conosce bene, ma ti corre incontro non appena ti vede quasi come se non aspettasse nient'altro dalla sua giornata! La maggior parte dei bambini non parla francese, ma la comunicazione con loro non è un problema. Ci si capisce grazie agli educatori beninesi e ai gesti, sono tutti molto comunicativi! Ogni gioco, anche il più banale, è per i bambini motivo di sorrisi, di urla e di gesti d'affetto! La comunità delle suore salesiane qui gestisce tantissime attività e spazi (sito web). Pian piano, a seconda dei servizi che svolgerò, riuscirò a raccontarli. 
L'arrivo e l'accoglienza sono stati travolgenti. E' una settimana che sono qui e ho scoperto un sacco di cose sulla città e sui costumi grazie alle suore e alle altre tre ragazze volontarie che sono qui già da sei mesi. Isabella e Pia vengono dalla Germania, mentre Anna dall'Austria. Grazie a loro sto capendo come muovermi dato che la città è grande e caotica. E' divisa in due da un fiume che va dall'Oceano Atlantico ad un Grande Lago. Intorno al lago ci sono i quartieri più poveri. La gente vive in palafitte costruite con legno e lastre di ferro. Quando piove l'acqua e il fango arrivano ai livelli delle "porte" e ci si sposta con delle piroghe. In due di questi quartieri i servizi salesiani hanno due baracche di legno dove la mattina si fanno attività come a scuola materna per i bambini piccoli, mentre il pomeriggio è dedicato all'alfabetizzazione dei bambini che non possono andare a scuola per motivi economici. Esiste la scuola pubblica in Benin, ma è caro per chi guadagna poco pagare l'iscrizione, la divisa e il materiale necessari. Il mercoledì pomeriggio invece, in entrambi i posti, si gioca: un vero pienone! Tantissimi bambini accorrono, di tutte l'età! Sono rimasta molto toccata dai livelli di povertà della gente che vive laggiù alla "Lagune". Non c'è terra intorno alle palafitte, ma spazzatura. I bambini corrono e giocano lì, mentre maiali, cani e polli cercano da mangiare. Ogni tanto qualche adulto, dopo aver terminato di cucire una rete da pesca, accende il fuoco per bruciare un po' di rifiuti. Sembrerà paradossale, ma negli occhi dei bambini non c'è mai tristezza, solo gioia. Un tam-tam (i tipici tamburi africani) e due maracas bastano a far iniziare la festa! Tutti ballano muovendo il bacino e le spalle come se l'avessero imparato ancora prima di camminare. L'unico modo per arrivare laggiù o per spostarsi da un posto all'altro è lo "zem" (zemidjan), ovvero una moto-taxi.
Basta chiamare per la strada "Quequeno", che subito un uomo riconoscibile dalla camicia gialla che porta si accosta e ti chiede dove vuoi andare. E' molto strano l'approccio, perché dopo avergli detto dove desideri arrivare inizia la contrattazione del prezzo. Una volta messi d'accordo si parte ed è tutta un'avventura! Lui cerca di fare prima possibile per garantirti un servizio veloce e per poter lavorare nuovamente, ma per le strade c'è traffico ed è pieno di moto, motorini e qualche macchina. Sembra una gara a chi arriva primo! Le strade "asfaltate" sono poche, il resto è terra, buche e salti. Anche in questo caso quando piove però non ci si ferma! Aumenta il prezzo, ci sono meno zem in giro, ma c'è sempre qualcuno disposto a portarti attraverso l'acqua, dove vuoi e fin dove è possibile! Nei vari tragitti da un posto all'altro mi guardo molto intorno. Non c'è un vero e proprio paesaggio! In lontananza da alcune parti si vede il lago o l'oceano. Per il resto sono baracche abitate e banchi per vendere. Quelli che noi chiamiamo palazzi o ville sono pochi. Di questi pochi, un po' sono nel quartiere delle ambasciate dove si presume vivano i più agiati e le persone di rilievo, altri sono in rovina, dove vive la gente della "classe media", mentre i restanti sono costruiti a metà e lasciati così, abbandonati. Pare che la motivazione sia "Non c'erano più soldi". Nonostante questo il clima è sempre gioioso e di festa. C'è musica in qualunque parte della città e a qualunque ora, anche quando manca l'elettricità. Tutti sono vestiti con abiti coloratissimi. Manghi, papaje e avocadi spuntano da ogni dove al mercato di Danktopa dove si può trovare davvero di tutto e di più! Tutti ti si rivolgono in modo gentile e dopo i saluti ti chiedono sempre "Commen ça va?", non per formalità, ma per ascoltarne la risposta. In tanti vogliono sapere che impressioni hai della loro terra. Mi piacerebbe davvero che dalle mie parole si potesse leggere quello che diceva Davide, un giornalista free-lancer in uno degli incontri missionari pre-partenza: "Come raccontare il viaggio missionario? Brevemente e con gioia!". Spero di riuscirci! 
A presto, Francesca

II puntata: un viaggio nel viaggio
Vi scrivo per augurarvi in ritardo buona Pasqua e raccontarvi come ho festeggiato qui Sono partita sabato 12 per passare tutta la settimana Santa e Pasqua con Don Clement, un amico e sacerdote beninese che è stato nella mia parrocchia a Torino per qualche tempo!Lui è originario di Banikoara, una città a Nord del Benin. Abbiamo fatto un vero e proprio tour del centro-nord. Siamo stati a Parakou, Guinagourou, Gogonou, Founougou, Banikoara e al Parc National du W.  Ci siamo spostati in bus per il tragitto più lungo, mentre per i viaggi intermedi di tre o quattro ore in "taxi"! Sono quasi tutti vecchie macchine, in generale Peugeot 504, a 7-8 posti.  Non sono solo le persone a far pesare la macchina una tonnellata, ma anche i quintali di bagagli che caricano. Un parte sono nel baule, un po' sono tra gli spazi vuoti all'interno del veicolo e altrettanti sono sopra il tetto,legati con corde. All'inizio del primo viaggio che abbiamo fatto ho davvero pensato che sarebbe finita male, le lancette del conta chilometri erano in panne e il volante girava tutto a destra. La gente continuava a chiedere al tassista di fermarsi per comprare cose dalle bancarelle ai bordi della strada...e giù chili di mango, di carbone, di patate a cui dover trovare altro spazio! Durante l'ultimo viaggio non mi sono più stupita dei due polli vivi, attaccatti dalle zampe sul tetto della macchina, che scendevano lungo i finestrini e mi guardavano fissi! Siamo stati ospitati in diversi posti: il centro diocesano di Parakou, un centro a Gogonou dove vivono e fanno la formazione tutti i catechisti mandati dalle diverse parrocchie della diocesi di Kandi, in alcune parrocchie e in una comunità di suore salesiane della Visitazione congolesi. E' stato molto interessante conoscere le diverse realtà, soprattutto in un tempo così particolare come quello della Settimana Santa. La Domenica delle Palme siamo stati a Messa nel Monastero Cistercense "L'Etoile Notre-Dame" delle monache di clausura a Parakou: producono marmellate di mango, ananas, papaja, sciroppi di limone, arancia e infusi naturali. La Messa Crismale invece è stata celebrata a Gogonou il martedì, anziché il giovedì come da noi, poiché i sacerdoti di tutta la diocesi di Kandi dovevano fare chilometri per arrivare (e qui viaggiare non significa prendere l'autostrada ed in poco tempo arrivare!). E' durata circa tre ore tra canti, balli, bonghi: una vera e propria festa per i sacerdoti e per una suora francese che faceva 50 anni di vita religiosa di cui 30 vissuti in Africa! : siamo stati in una riserva naturale al confine con il Niger e il Burkina Faso, il Parc National du W. Abbiamo visto ippopotami, bufali, scimmie, babbuini, diversi tipi di antilopi, tantissimi uccelli dagli splendidi colori! La notte abbiamo dormito in una piccola parrocchia con pochi spazi, senza luce, ma con molti giovani! Il giovedì abbiamo fatto un tour di Banikoara per salutare tutta la famiglia e gli amici del don. Erano tutti felici di vederlo e mi sono sentita anche io un po' "a casa". Ho capito come davvero qui l'ospitalità sia sacra! Tutti ci volevano offrire qualcosa! Alla Messa del giovedì c'erano tante persone e a seguire hanno fatto i turni per l'adorazione notturna. I bambini qui durante le celebrazioni partecipano attivamente cantando e comportandosi da adulti. Abbiamo ripreso il nostro viaggio il giorno dopo fermandoci solamente per la Via Crucis. E' stata davvero provante: due ore sotto il sole a camminare, anche se la gente sembrava non sentirlo! Il sabato e la domenica di Pasqua siamo stati ospitati a Guinagourou in una piccola parrocchia. Anche qui, come Founogou gli abitanti sono in maggioranza musulmani. Le comunità sono nate da pochi anni, ma sono davvero calorose. Ho assistito tra la veglia Pasquale e la Messa di Pasqua a nove battesimi ed un matrimonio! Nei villaggi più piccoli era stranissimo che ci fosse un "bianco": un sacco di bambini mi guardavano come se fossi un extraterrestre, ero la prima che vedevano! Le reazioni erano diverse: alcuni venivano a guardarmi da vicino, altri si mettevano a piangere! Ho parlato con tanti giovani e con alcuni adulti. Sono tutti molto incuriositi dall'Europa ma hanno una visione un po' distorta: credono che siamo tutti molto ricchi e che non esiste la povertà! Nessuno di loro sapeva cos'era un termosifone, mi chiedevano come si sta con l'elettricità e com'è per strada di notte. Erano stupiti che non si potessero vedere bene le stelle! Qui le stelle sono una cosa incredibile, davvero! Laddove non c'è proprio l'elettricità ci sono alcune persone del villaggio che hanno un generatore e la vendono! Per 100 franchi puoi ricaricare il telefonino in piccole capanne. Ho visto anche un generatore per alimentare un piccolo locale con una televisione e delle casse per ballare all'aperto! Sono tornata a Cotonou davvero carica, sapendo tante cose in più sul paese, grazie a tutte le cose viste e le persone incontrate! Presto vi aggiornerò su cosa ho iniziato a fare qui nel concreto!
Il giorno dopo l'abbiamo dedicato al creato
Qui però si usa andare in 12! 4 davanti, 4 in mezzo e 4 dietro, da non credere! Sei praticamente in braccio al tuo vicino, senza più circolazione ai piedi. Il conducente non riesce quasi a cambiare le marce perché al posto del cambio ci sono le gambe di chi gli sta accanto.
ps. Un saluto a tutti e un abbraccio alla comunità di Napoli. Proprio qualche giorno fa ripensavo a quanto è stata grande per me l'esperienza nei Quartieri Spagnoli!
                                                                  Francesca

Ecco alcune foto dal Benin... 
 un'oasi nel desertola vita nel villaggio ebambini incuriositi dalla macchina fotografica...


III puntata: la mia nuova quotidianità


Dopo alcune settimane di "travail" posso raccontarvi nel dettaglio come trascorro le mie giornate qui!
Ore 7.15: suona la sveglia, fuoriesco dalla zanzariera e mi dirigo verso il bagno per una doccia veloce con più o meno acqua a seconda dei giorni o con pentolini d'acqua di riserva se non esce nulla dal rubinetto. Mi vesto e preparo lo zaino: bottiglie d'acqua, spray anti zanzare, mantella contro la pioggia (non si sa mai, potrebbe esserci un quarto d'ora di diluvio universale in qualunque momento, come no!), materiale da utilizzare per le attività e per i giochi pensati per la giornata.
Ore 7.50: scendo al piano inferiore insieme alle altre ragazze volontarie per fare colazione. La casa offre pane, marmellata, burro, a volte tonno o strani patè, caffè in polvere, cacao in polvere, latte in polvere e acqua calda con cui poter fare il tutto! Ritiriamo e laviamo le cose usate, senza dimenticare di riempire due bottiglie d'acqua filtrata che serviranno a ciascuna di noi per tutta la giornata.
Ore 8.20: casco in mano e zaino in spalla, si va a cercare un taxi-moto e ognuna di noi andrà per la sua strada (facciamo cose diverse qui, solo ogni tanto qualcuna di noi è insieme per qualche servizio!). Una volta trovato (sono tantissimi in tutte le strade: in effetti sono loro che cercano clienti!!) si passa un po' di tempo a contrattare il prezzo del viaggio e a dare le indicazioni su dove si vuole andare. Non esistono indirizzi e numeri civici in tutta la città, ma solo in alcuni grandi centri di interesse! E' necessario quindi dire il nome del quartiere in cui si vuole andare e dare qualche riferimento di qualcosa che si trova nelle vicinanze a dove si vuole andare: una farmacia, un hotel, un ponte, un incrocio un po' più grande del solito, una scuola! All'inizio è stato traumatico perchè la città è estesa e le vie, specialmente quelle non asfaltate, mi sembravano tutte uguali. Ora inizio ad orientarmi e a trovare i miei punti di riferimento per spiegarmi! Se abbiamo trovato un accordo dunque e la moto parte (spesso ci si ferma per fare benzina dopo pochi metri: ci sono i venditori con le bottiglie piene sulla strada) si va!
Ore 9: saluto il quequeno e mi ritrovo nel vivo di Danktopa, il nome del quartiere del mercato. E' un vero caos, c'è di tutto e di più! Il mercato è talmente esteso che non ho ancora capito come fare per determinarne i confini. Una parte è lungo il fiume, una parte più interna è formata da un grande spazio in cui si creano tutti i giorni come delle viuzze tra un banco e l'altro, un'altra parte è formata da baracche in legno e ferro e un'altra ancora da costruzioni in muratura che fungono da "negozi". In mezzo passano carretti per trasportare cose da vendere, donne e bambine con ceste e la merce n testa e in alcune parti anche motorini e camioncini. E' davvero caotico e bisogna fare attenzione a non far rovesciare nulla o a non essere urtati da qualche cosa, motorino, carretto o merce che sia! Si vende di tutto ed è organizzato un po' a caso in settori: alimentari, vestiti e scarpe, bigiotteria e "coiffeur" per fare i capelli, le treccine e la manicure, apparecchiature elettroniche e oggetti da lavoro. La gente urla, contratta, fischia, ti chiama! E' tutto molto sporco e ci sono rifiuti un po' ovunque, ma la cosa più assurda e raccapricciante sono i "fétiches": si tratta di ossa, corna, occhi, lingue, pelle, insomma parti di animali morti (pezzi di babbuini, giraffe, uccelli, coccodrilli, tutto il possibile e trovabile!). Alcune sembrano "imbalsamate", altre sembrano ancora in decomposizione. Immaginatevi con il caldo la puzza che fanno e quante mosche ci sono intorno! La religione "vodoun" vuole che si usino i "feticci" in segno di protezione e di sacrificio per combattere la stregoneria. Non ho ancora capito bene oggi come oggi come vadano le cose. Sembra che le persone in città che ci credono facciano tutto a casa loro e in pubblico sia rimasto solo come evento "culturale": abbiamo assistito a una cerimonia vodoun per strada in cui c'erano tre uomini vestiti in modo bizzarro con delle maschere in faccia e sui trampoli che danzavano insieme ad altri vestiti con gonnellini, piume e segni bianchi sul viso, mentre un gruppo suonava bonghi e maracas! La gente batteva le mani e sembrava divertita, ma le maschere erano inquietanti!
Ore 9.15: arrivo alla baracca in una parte del mercato dove ci sono anche i taxi che partono per andare al nord. Questo vuol dire altro caos, gente che vuole che tu parta e gente che vuole venderti di tutto per il viaggio perché pensa che tu debba partire! Attraversato il punto traumatico ti accoglie un'orda di bambini festosi :): sono i bambini della "scuola materna" del mercato. Ci sono due baracche: una gestita da educatori salesiani ma all'interno del progetto dei frati, per accogliere i ragazzi di strada dai 6 anni ai 18 più o meno. L'altra è per le ragazze femmine della stessa età. E' quest'ultima a far parte del progetto delle suore salesiane! E' divisa in due spazi, una "stanza" per le ragazze, l'altra per i bambini piccoli dai 2 ai 5 anni. Sono i figli di chi vende al mercato che vengono tutti soli o raramente accompagnati, la mattina per giocare e fare attività, altrimenti sarebbero abbandonati a loro stessi tutto il giorno. Capita spesso che arrivi una mamma dicendo che ha perso un bambino e chiede se ne sappiamo qualcosa! I responsabili dei bambini sono due ragazzi giovani, un beninese e un togolese, che li fanno giocare e li introducono con canzoncine e attività al francese. Io di fatto non sono lì per i bambini piccoli, ma quando arrivo sto un po' a giocare con loro prima di dedicarmi alle ragazze che arrivano più tardi, intorno alle dieci. Con i bambini è più semplice ed immediato: ti corrono incontro, ti saltano addosso, giocano con qualunque cosa! Le ragazze sono diverse (e dico ragazze anche se di fatto alcune hanno 6-7 anni. Sono già davvero grandi per alcune cose, dato che vivono e lavorano sempre al mercato, lì dove non ci sono regole. Il mercato è  un po' come la savana, vince il più forte! Sono dunque abituate a contrattare, a rubacchiare se necessario, a relazionarsi con gli adulti, ad essere furbe e scaltre, a maneggiare i pochi soldi che guadagnano, a prendersi cura nel mentre dei fratellini più piccoli se gli si sono stati affidati quel giorno. Se sei piccola sei perfetta per lavorare, soprattutto per vendere! Arrivano con ceste piene di roba, alcune davvero pesanti. C'è chi vende banane, manghi, pezzi di anguria, bibite "fresche" in delle "scatole-frigo" con ghiaccio almeno per un po', necessario per capelli, cibo fritto, borse, foglie di una pianta lunghe e strette che usano per legare le cose...posano il tutto davanti alla baracca o dentro: il risultato è che è pieno di mosche e bisogna fare attenzione a non urtare nulla! Passano alcune ore lì, a volte anche meno, per riposarsi, distrarsi, mangiare, bere, giocare, fare le attività che proponiamo, parlare, incontrarsi, e poi ripartono! La sensazione che ho è che guadagnino pochissimo perché usano i pochi soldi che hanno per comprare qualcosa da mangiare alle altre o da qualche parte (ci sono banchi in cui cucinano e puoi acquistare un piatto di riso, pollo appena ucciso e cucinato e tutto ciò che è possibile fare sul fuoco, oppure cose fredde come latte in polvere con cacao e pane, delle sottospecie di creme di tapioca o cose del genere!).
Ore 10: iniziano ad arrivare le ragazze. Con me c'è Tata Claudine, una signora beninese che da dodici anni collabora con le suore. Lei parla il fon quindi può comunicare con le ragazze. E' questo infatti il grande ostacolo: la lingua. Sono rarissime le ragazze che parlano francese. Alcune possono dire cose elementari, ma per il resto nella baracca si parla fon. Quando qualcuno racconta qualcosa, quando litigano, quando si picchiano diventa difficile per me interagire come vorrei! Sono moooolto manesche e si urlano contro per niente. A volte capisco dalla situazione, a volte devo chiedere alla Tata. Mi è spiaciuto molto per esempio non capire nulla quando una ragazza ha iniziato a raccontare a tutte qualcosa e poi ha pianto per circa un quarto d'ora. La tata prima di andarcene mi ha spiegato che lei crede di avere la stregoneria perché di notte non riesce a dormire e sente come uno spirito che si impossessa di lei non lasciandola stare in pace.(ecco un esempio di credenza voudou tra la gente, la ragazza di fatto è musulmana, ha il velo e va alla moschea a pregare, ma crede comunque alla stregoneria!). Le attività alla baracca variano dal giocare a cose come Uno, a carte, ad un gioco africano strano, a fare bricolage, braccialetti, uncinetto fino all'alfabetizzazione. Tutte le ragazze che lavorano al mercato non vanno a scuola dunque non sanno scrivere nè leggere! E' assurdo vedere ragazze di quattordici anni incapaci di scrivere come si chiamano! Per questo cerchiamo di fare anche un po' di alfabetizzazione, ma non è sempre scontato che loro abbiano voglia! Al momento la maggior parte inizia a scrivere nome e cognome. Facciamo anche un po' di matematica e sulle operazioni se la cavano molto meglio perchè fin da quando iniziano a lavorare al mercato maneggiano i soldi e sanno dare il resto. I loro nomi sono davvero bizzarri, così come quelli dei bambini alla scuola materna: Dieu-merci, Dieu-donnè, Deo Gracias, Prince, Spero, Janvier, Felicitè o più africani come Djougoudjogou :)
Ore 12.30: zaino e casco, due piccole della scuola materna per mano, attraverso con loro il mercato per accompagnarle fino ai banchi dove le loro mamme lavorano. Poi proseguo sola per andare a mangiare alla Maison de l'Esperance dove ci saranno anche le altre volontarie che nel frattempo la mattina hanno fatto altro!
Ore 13: si mangia! il posto è una scuola di formazione professionale con diversi atelier: di cucina, di pasticceria, di panetteria, di saponeria. Quelli della cucina si esercitano e noi mangiamo quello che preparano! Il cibo più usato è la "pate", una sottospecie di polenta che può essere nera, rossa o bianca a seconda del cereale che si usa per farla, accompagnata da salse piccanti, da pollo o da pesce. Altrimenti riso, cous-cous, spaghetti (che usano mischiare con l'insalata e la maionese: strano per un italiano, ma mica male!) o yampilè (delle specie di gnocchi enormi e fatti con le patate africane, lunghe e bianche!).Sembra strano, ma qui ho sempre fame! Pensavo non fosse così per via del caldo, invece è proprio il caldo che ti mette appetito!
Ore 13.45: mi rimetto in cammino sotto il sole cocente dopo aver mangiato, è questo il momento più traumatico della giornata (ecco un altro aspetto del caldo: ti senti stanca!) dove vorrei dormire un po' o dove avrei davvero bisogno di un espresso. Rifiuto il caffè in polvere sciolto nell'acqua bollente, ma talvolta bevo una specie di cappuccino: caffè in polvere, acqua, latte condensato e ghiaccio..e giungo di nuovo alla baracca!
Ore 14: le ragazze sono già lì pronte a fare casino! quando parte il momento bonghi e ballo capisci che non dormirai mai più, dunque ti attivi! Durante il pomeriggio l'alfabetizzazione è bandita perché le ragazze non hanno molta voglia, dunque si gioca e si fanno lavoretti! Solo il venerdì pomeriggio è permesso, se c'è l'elettricità, guardare un telefilm beninese dalla piccola tv che è stata donata da qualcuno! La maggior parte sono il lingua fon, ogni tanto sottotitolati in francese e parlano solo di famiglia, soldi e litigi. Il risultato è che le ragazze non urlano più, sono attentissime, ma al loro posto lo fa la tv.
Ore 17: si rimette in ordine la baracca scopando per terra e buttando i rifiuti fuori (non esistono i bidoni!). Saluto le ragazze, faccio un po' di strada a piedi per pagare di meno lo zem (devono avere un permesso per entrare nel mercato che a loro costa!) e contratto nuovamente per tornare a casa, a meno che non debba andare da qualche altra parte.
Ore 17.45: arrivo all'ingresso del cortile del centro salesiano e mi intrattengo a parlare con il/la guardiano/a di turno e con chi incontro (spesso con le ragazze del Foyer, una casa di accoglienza gestita dalle suore esattamente davanti a dove stiamo noi, dove vivono 70 bambine e ragazze orfane o con problemi di povertà, di famiglia). Dopodiché entro a casa, mi vesto con la tenuta antizanzare e decido il da farsi: fare il bucato (qui si lava tutto a mano), preparare qualcosa da fare l'indomani, e se c'è la santa elettricità e la beata connessione, collegarmi per scrivere!
Ore 19: vespri e cinque misteri di rosario con le suore davanti ad una statua di Maria Ausiliatrice nel cortile.
Ore 19.30: si mangia la cena. Il lunedì, il giovedì e il sabato con le suore, gli altri giorni tra noi volontarie.
Ore 21: dopo aver mangiato, sistemato e lavato i piatti ognuna fa un po' cosa vuole. Di solito stiamo insieme attorno ad un tavolo: c'è chi scrive al pc, chi scrive lettere o un diario personale, chi legge, chi chiacchiera, chi fa lavoretti per il giorno dopo o talvolta guardiamo un film. Possiamo uscire ma non possiamo tornare più tardi delle 23, anche durante il week end! Ogni tanto usciamo con degli amici beninesi per fare una passeggiata, andare a sentire musica dal vivo e confrontarci un po' (anche loro lavorano in un progetto che si occupa di bambini e ragazzi di strada!).
Ore 23: vado a dormire rintanandomi nella mia zanzariera :) Questo capita tutti i giorni eccetto:
- il mercoledì pomeriggio che sono a Tojojomej, un quartiere povero vicino alla laguna dove facciamo giochi fuori e dentro una baracca per tutti i bambini che vengono. Vado con una delle volontarie tedesche ed un educatore beninese. A volte ci sono anche sessanta-settanta bambini, di tutte le età, dai 2 ai 15. I piccoli piccoli stanno con l'educatore nella baracca, i più grandi con noi fuori! Facciamo spesso giochi d'acqua (quando c'è!) perchè alla fine tutti bevono! Sotto il sole cocente tutti sono contenti di rinfrescarsi e di bere!
il giovedì pomeriggio dove sono sola con alcune ragazze del Foyer. Con loro posso decidere di fare qualunque cosa perchè quasi tutte parlano francese dato che le suore pagano loro la scuola!
il sabato e la domenica, giornate per noi libere, ad eccezione del sabato mattina dedicato alle pulizie di tutta la casa delle suore e dove dobbiamo aiutare anche noi!
La domenica vado a Messa alle 9 (qui è sempre tutto presto per sfruttare le ore solari!) e poi facoltativamente nel pomeriggio posso dare una mano alle aspiranti e agli animatori all'oratorio.
Anche stavolta mi sono dilungata troppo,alla prossima puntata.

ESPERIENZA A NAPOLI - QUARTIERI SPAGNOLI (dal 7 aprile al 2 giugno 2014)

Il 7 aprile, qualche giorno dopo Francesca, Irene è partita da Torino alla volta di Napoli Quartieri Spagnoli, dove vivrà un'esperienza di servizio fino a giugno. l'8 aprile è stata raggiunta da Marta che condividerà una 

I PARTE
Tornare a Napoli - Quartieri Spagnoli
Cosa metti nella tua valigia quando parti?
Sono partita con una leggerezza non scontata: poche preoccupazioni di cosa sarebbe successo qui a Napoli.
Alla fine di questa prima settimana però vedo che sono partita con un altro pesante bagaglio. E' un fagotto di aspettative e idee su me stessa che puzzano di dover essere e dover fare.
Giocando fuori casa - e per di più con un compito anche educativo e di servizio - la realtà di tutti i giorni si fa ancora più complicata, così come le relazioni: molto facilmente allora queste idee su di me mi fanno sentire non all'altezza delle situazioni.
Di fronte a un mio limite vorrei solo che non esistesse perché non è così che dovrei essere in quel momento.
Di fronte a una persona mi faccio mille problemi su come "approcciarmi" e alla fine ho la sensazione di sprecare tanti buoni momenti per condividere la bellezza dell'incontrarsi davvero.
Ora che me ne sono accorta riesco sempre più a liberarmi di questo fagotto ingombrante, e la mia valigia si può riempire del qui e adesso che mi è dato di vivere.
Accogliere il presente è...
non pretendere di dare tutto subito
non misurarmi con i miei dover essere
ma stare qui perché l'esperienza mi parli e mi trasformi.
A presto nostre notizie!
                                                             Irene


Sono arrivata lunedì sera, con:
la pancia la testa e il cuore affollati da tante emozioni un saluto forse ancora incredulo a quello che lascio e un'attesa impaziente e timorosa di ciò che sto per incontrare la voglia di affidarmi a Te.
Dopo una prima intensa giornata alla fattoria didattica, martedì sera è arrivata Marta. Anche lei ha preso sul serio l'invito delle suore a tornare, facendomi il regalo di passare insieme la prima settimana di questa avventura.
Tornare è:
essere accolta in casa, in famiglia. I ricordi che si scongelano e ritornano realtà presente: i vichi stretti e grigi, i nomi dei bambini, i sorrisi e gli sguardi torvi, la lingua straniera, le emozioni, alcune un po' scomode.
Mercoledì la prima giornata tipo: la mattina per la preghiera, le faccende di casa, le cose personali. All'ora di pranzo arrivano i primi bambini di casa Efraim, nel pomeriggio si uniscono gli altri. Si sta insieme grandi e piccoli, nel gioco, nello studio, nella merenda. Da subito ci regalano il loro affetto. Chi ci ha conosciute quest'estate si ricorda di noi ed è felicissimo di rivederci. Chi ci vede per la prima volta ci accoglie spontaneo e gioioso.
Io e Marta iniziamo con un ruolo da semi-spettatrici. Nel corso dei giorni viviamo il servizio, anche nella semplice presenza, o nello svolgimento di compiti più pratici, logistici, come la creazione del volantino dell'associazione (chi vuole farsi un'idea della realtà dell'associazione può scaricarlo qui Volantino Associazione Efraim
Ingraniamo con la quotidianità, sperimentiamo di non essere nate imparate e che una giornata ha solo 24 ore. Così come il tempo necessario per ambientarsi, anche quello per il riposo a volte sembra andare a discapito di momenti apparentemente più importanti. Ma vivere in una dimensione di quotidianità e di comunità significa anche imparare a rinunciare a quell'ora in più di preghiera o alla partecipazione a quell'attività, per ricaricare le pile e poter fare forse di meno, ma meglio. I giorni volano.
Mercoledì sera partecipiamo al gruppo del dopo-comunione. L'incontro si conclude con i seguenti propositi:
- cena di scambio interculturale Torino-Napoli da realizzarsi nelle prossime settimane
- gemellaggio con il gruppo delle medie di Pino Torinese!
Venerdì partecipiamo alla via Crucis decanale. La modalità con cui viene proposta e condotta, che in gran parte non condividiamo, ci pone domande forti: come sto in situazioni che mi urtano e allontanano, anziché coinvolgermi e favorire l'incontro con il Signore? Che cos'è che mi infastidisce o che mi crea difficoltà? Ha senso partecipare? Posso dare un apporto personale a questo momento che sento "non per me"? Voglio rendere significativa la mia presenza per chi mi sta accanto? Come? Conformandomi? Come voce fuori dal coro? Come presenza silenziosa? Osservando con distacco? ...
Domenica delle Palme: la condivisione della Parola del giorno, ricca di stimoli, i bambini vestiti da damerini, la benedizione degli ulivi, la messa speciale e la chiesa piena, il pranzo con i piatti da festa, e di sera per me e Marta iniziare a tirare le fila delle intense giornate vissute insieme.
                                                                                                                       Irene

II PARTE
"C'è un momento nell'anno per fermarsi, cercare e ritrovare se stessi!
Un momento per liberarci dalla schiavitù del quotidiano, dalle cose che spesso ci opprimono. Un momento per porsi delle domande fondamentali, ritrovare la passione per le cose che si vedono e leggerle nella prospettiva del Mistero di Dio. Un momento per ripartire da Dio: non dare mai nulla per scontato e, come la notte cerca l'aurora, cercare senza sosta il volto nascosto del Padre.
Il tempo è questo: fare esperienza dell'intima comunione con Gesù."
Così abbiamo iniziato stasera - è Giovedì Santo - l'adorazione eucaristica, che ora continuiamo spostandoci dalla chiesa alla cappella di casa.
Ci alterneremo nella veglia fino a domani pomeriggio, quando vivremo in chiesa le ore di agonia di Gesù.
Ti ringrazio Signore per l'occasione di vivere la Settimana Santa così intensamente.
Stando alla tua presenza questa notte sarà anche per ripercorrere i primi giorni a Napoli.

Lunedì Marta è tornata a Torino. Anche se a distanza, continuiamo comunque l'avventura insieme!
Ci saluta così:
Troppe cose da fare, troppe persone da incontrare, tanto che davvero non è bastata una settimana! E adesso, anche da casa, troppe sarebbero le cose da raccontare. Per questo, per non far torto all’una o all’altra cosa, ho deciso di lasciarvi solo un pensiero, che racchiude un po’ la mia esperienza di questi giorni. La cosa più bella che ho, che abbiamo sperimentato è stata l’accoglienza. Quest’estate avevamo trascorso solo una decina di giorni nei Quartieri Spagnoli, eppure, ritornandoci, ci siamo sentite accolte come se non ce ne fossimo mai andate, come se, pur abitando così lontano, facessimo anche noi, almeno un po’, parte di quella comunità. Davvero ci siamo sentite parte di quella grande e bella famiglia, formata dalle Suore, dagli educatori, dai volontari e dai ragazzi dell’associazione Efraim, dalla comunità di Sant’Anna di Palazzo e da tutte le persone che abbiamo incontrato. Ci è sembrato di essere “a casa”, nonostante i chilometri che avevamo percorso. Per questo e per ogni momento
di questi giorni grazie davvero a tutti. Marta.



ESTATE 2013

STAFFETTA MISSIONARIA DAL 18 LUGLIO AL 20 SETTEMBRE 2013 

ESPERIENZA A NAPOLI - QUARTIERI SPAGNOLI (dal 18 al 27 luglio 2013)
I Puntata...
Eccoci a Napoli… siamo arrivate ieri sera stanche ma felici. Come ben sapete siamo Irene, Silvia, Sr. Barbara, Vanessa, Chiara, Giorgia, Marta e qui a Napoli abbiamo trovato sr. Cinzia, sr. Laura, sr. Evelina, sr. Paola e … soprattutto Totò che ci ha accolto a “zampe aperte”!
La Parola guida della comunità che abbiamo incontrato è: “…e il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. In questi giorni vogliamo provare a farla nostra.
La giornata è iniziata con la visita turistica di Napoli per osservare, annusare, gustare, ascoltare… conoscere, insomma, la città in cui siamo arrivate.
In Piazza Plebiscito abbiamo potuto assaporare il retrogusto alla nocciola del “caffè del professore”; nella Chiesa del Gesù nuovo, nel Duomo e a S. Chiara abbiamo ammirato dipinti, stucchi e organi antichi; passeggiando lungo le vie S. Gregorio Armeno, S. Sebastiano, S. Biagio dei Librai e Spaccanapoli ci siamo immerse in un mondo fatto di bancarelle colorate, note di mandolino e botteghe artigianali;  passando ad una Napoli meno conosciuta abbiamo attraversato il mercato della Pignasecca e a quello dei Vergini tra odore di pesce, banchi di frutta, profumo di pane e un vociare per noi poco comprensibile. Dopo aver placato la fame e la sete con una strepitosa pizza napoletana e una fresca granita, a conclusione della giornata, abbiamo potuto osservare questa splendida città dall’alto della Certosa di S. Martino.
Domani inizieremo a preparare il materiale per la processione di S. Anna e per l’animazione. Lunedì incontreremo i bambini che vorranno venire a giocare in “piazzetta” e inizieremo le visite alle famiglie e ai malati.




Al più presto vi manderemo altre notizie. 


II Puntata...
Rita, Costel, Edward, Salvatore, Francesco, Benedetta, Nancy, Assunta, Alfredo, Anna, Rosella, Antonio, Serena, Matteo, Martina, Lucia, Mario, Francesca, Giulia, Chiara, Fabiana, Vittorio, Marco, Ciro, Pasquale, Lorenzo, Enzo, Carmela, Immacolata, Marta, Alessia, Guglielmo, Cristian, Vincenzo, Claudia, Giorgia, Sachinta, Annarosa, Annarita, Antonia, Patty… 
Questi alcuni dei molti volti che abbiamo incontrato e che ci ritornano in mente a conclusione delle prime giornate di attività: volti e nomi con una storia alle spalle che non sempre possiamo conoscere, ma con i quali è bello condividere un sorriso, una preghiera, un gioco o qualche ricordo…
Presto vi spediremo il link di dropbox per vedere altre foto.




III e ultima Puntata...
Eccoci tornate a casa. Con un po' di nostalgia lasciamo una comunità che ci ha fatto sentire "famiglia" e della gente che ci ha accolto tra di loro condividendo parte della vita. Ci portiamo nel cuore i visi, le storie, i colori, le esperienze... continueremo a camminare insieme a distanza e, chissà, forse ci incontreremo ancora. Ringraziamo tutti voi che ci avete seguito e accompagnato in questi giorni e proveremo a vivere la Parola che il Signore ci ha consegnato all'inizio dell'esperienza "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi"... Il testimone passa ora ai ragazzi che andranno in Kenya. A presto...


Esperienza in Kenya (dal 31 luglio al 20 agosto 2013)
I Puntata... 
Dopo il cammino di quest'anno finalmente pronti per la partenza! :) Dichiarati tutti idonei, ora aspettiamo di imbarcarci e iniziare quest'avventura... Vi portiamo con noi in Africa e speriamo di darvi presto nostre notizie! Saluti da Malpensa!





II Puntata... 
Dopo una “eterna” attesa nel gelido aeroporto di Doha (Qatar) alle 2 e 20 siamo finalmente partiti per Nairobi. 

Ed eccoci in KENYA! Ma il viaggio non era ancora finito: a nostra insaputa ci attendevano ben 12 ore di Matatu (uno scassatissimo pullmino Toyota da 15 posti – eccolo nella foto)

Dopo esserci fermati per una pausa pranzo in un locale molto chic ed aver mangiato mezzo pollo ruspante (mooolto ruspante) a testa con tanto riso, ci siamo rimessi in viaggio per superare l’Equatore.
Tutto e’ andato bene finche’ non abbiamo dovuto lasciare l’autostrada per un’assai spartana strada sterrata. Il viaggio si e’ cosi’ trasformato in uno stupendo benche’ traballante safari con bellissimi panorami, animali locali che
… attraversavano la strada e un generale timore per la robustezza del veicolo.
La nostra fiducia negli autisti, buca dopo buca, e’ cominciata a calare come il sole all’orizzonte quando questi hanno fatto inversione di marcia in una stradina sabbiosa.
La crisi totale e’ arrivata quando all’ennesima domanda “How long does it take?” ci hanno risposto
per l’ennesima volta “1 hour”. Il sole nel frattempo era calato del tutto lasciando pero’ uno splendido cielo stellato. Finalmente abbiamo visto comparire delle case, solo che…
…ovviamente non erano quelle di Maralal ma quelle della nostra seconda destinazione, Lodungk ‘owe.

Con 60Km di strada alla meta, dopo aver scartato un dromedario nascosto nell’ombra della strada, i fari ci hanno abbandonato.





III Puntata... 
Sopravvissuti a crisi di panico, pipi’ isteriche, sabbia OVUNQUE, fame vorace siamo stati calorosamente accolti da Padre Masino con la sua Jeep.
Cena, doccia, nanna -PROFONDA nanna- e stamattina l’avventura missionaria e’ realmente cominciata. Ed e’ cominciata davvero molto bene! =)
Stiamo tutti bene, godetevi le foto… a presto aggiornamenti.


Come dicono qui: “Kwa heri” !

IV Puntata...
Sembra impossibile, ma e’ gia’ passata una settimana da quando siamo arrivati qui. Di cose ne abbiamo fatte parecchie e ci siamo ormai abituati alla routine kenyota del Pastoral Center.

Time-Table:
7.15 Sveglia
7.30 Breakfast, a base di marmellata di arance, miele d’acacia e pane tostato il tutto di produzione propria
8.30 Inizio delle attivita’ mattutine – panetteria, giardinaggio e bambini dell’orfanotrofio di Madre Teresa
12.30 Pranzo
13.00 LA SACRA SIESTA
14.00 (abbondanti) Inizio delle attivita’ pomeridiane
19.00 Messa
19.30 Cena
20.30 Free time… e prima o poi nanna
Come abbiamo scoperto, l’attivita’ principale del Pastoral Center e’ quella di promuovere lo sviluppo di nuovi mestieri per i giovani (volenterosi) del luogo. Ospita infatti un laboratorio per la produzione di gelato artigianale (ottimo!) ed una panetteria che rifornisce la maggior parte delle scuole e molti negozi.
Data l’assenza di due dei quattro ragazzi panettieri, siamo subito stati reclutati come garzoni (a parte Chiara C. che ostacolava il lavoro mangiando meta’ della pasta). Invece Chiara P. e’ stata assunta come teacher per l’uso del lievito naturale e, cosa ancora piu’ importante, per fare la pizza (soprattutto in versione rinforzata ai fagioli).
All’inizio e’ stato difficile entrare in confidenza con i ragazzi, soprattutto per la differenza di background culturale. Ad esempio una delle prime domande che viene rivolta alle ragazze della nostra eta’ e’: “How many children do you have?”. Inutile dire con quanto imbarazzo rispondiamo e cerchiamo di spiegare che in Italia le cose funzionano diversamente. C’e’ voluto comunque poco per legare, impare a conoscere e ad apprezzare la loro cultura e… spettegolare!
L’orfanotrofio delle Suore di Madre Teresa, che ospita una cinquantina di bambini da zero a tre anni, si trova in centro citta’ e per raggiungerlo ci vuole circa un quarto d’ora (passo Elisa). E’ strano camminare lungo la strada sterrata circondati dagli sguardi diffidenti dei grandi e da quelli curiosi dei bambini, i quali non esitano a stringerci la mano ed a salutarci con l’interminabile cantilena “How are you? How are you? How are you? Jambo!”.
Un coro di “Beba mimi” e’ invece la prima cosa che ci accoglie quando entriamo, e subito capiamo che significa “Prendimi in braccio”. L’impatto con trenta paia di occhi lacrimosi e’ stato davvero difficile per tutti noi: ci aspettavamo inconsciamente una situazione da asilo nido ed invece ci siamo scontrati con una realta’ ben diversa. Ci hanno fatto entrare in una stanza, che abbiamo poi scoperto essere utilizzata come sala giochi e mensa, in cui subito siamo stati circondati, assaliti, scalati da fradici adorabili bambini.
Le mille attenzioni che noi consideriamo scontate per dei bambini piccoli, qui sono inimmaginabili o inattuabili, e le condizioni igieniche lasciano molto a desiderare. Tuttavia sono bambini e sanno gioire di quello che hanno e noi, superato lo sconcerto iniziale, cerchiamo di imparare da loro.
La nostra artista, intanto, ha trovato pane per i suoi denti: padre Masino le ha affidato la copia di un quadro, raffigurante Cristo buon pastore, che era stato ruminato dalle capre. Come si puo’ vedere ha fatto un ottimo lavoro, riscuotendo grande successo.
Domenica a messa nella cattedrale, con tutta la comunita’ di Maralal, abbiamo vissuto due ore molto coinvolgenti. Qui si prega cantando e ballando e ogni gesto aiuta a riscoprire la gioia dell’incontro con Dio!
Continuiamo con entusiasmo il nostro cammino, sicuri che questa esperienza ci donera’ ancora molto.
kuendelezwa… ;-)

V Puntata
Abbiamo raggiunto ormai la meta’ della nostra permanenza in Kenya. Domani mattina, di buon ora, insieme a Padre Masino ci avvieremo verso Lodungk‘owe. Durante il viaggio faremo una puntatina a Lodokejek, per i nostalgici che non potevano lasciare il Kenya senza vederlo, in modo da arrivare poi per l’ora di pranzo a destinazione. Si dice che si sa quello che si lascia ma non si sa quello che si trova: noi sappiamo di lasciare un tempo quasi autunnale e la citta’ piu’ grossa della regione. Chissa’ cosa ci aspetta a Lodungk’owe: probabilmente un paesino con poche case ed un clima decisamente piu’ estivo (in stile profondamente africano).
Cio' che piu’ ci dispiace lasciare a Maralal e’ l’orfanotrofio delle Suore di Madre Teresa: purtroppo tutti i bambini in valigia non ci stanno!
E’ proprio con queste Sorelle che venerdi’ mattina siamo andati a visitare il quartiere piu’ povero di Maralal. I Turkana di queste magnatte abitano abbarbicati sulle colline. Camminando per il sentiero abbiamo attirato l’attenzione di grandi e bambini, che vivono in condizioni molto precarie.
Pian piano i bambini hanno incominciato a seguirci, incoraggiati anche dalle suore, aggrappandosi alle nostre mani. Dopo mezz’oretta di cammino, siamo giunti nei pressi di una scuola (ora chiusa per vacanze). Al grido di “One, Two, Three… Make a circle”, tutti insieme abbiamo formato un cerchio nel grosso prato di fronte alla scuola. A tradimento, le suore ci hanno lasciato l’incombenza di far giocare il centanaio di bambini accorsi. Nonostante i problemi di lingua, abbiamo tirato fuori il nostro spirito da animatori ed abbiamo improvvisato alcuni bans ed un “orologio di Milano”.
E’ stata dura, ma ci e’ stato d’aiuto il fattore novita’, che ha reso i ragazzini attentissimi e molto disponibili a giocare con noi. La parte piu’ difficile della mattinata e’ stata pero’ dover lasciare i bambini. Infatti al momento di andare via le suore ci hanno raccomandato esplicitamente di non dar piu’ loro la mano e di cercare di ignorarli, perche’ altrimenti ci avrebbero seguito fino a casa. L’allegria e la carica che ci hanno trasmesso questi bambini sorridenti le custodiremo sempre nei nostri cuori, per ricordarci che si e’ animatori in tutte le parti del mondo.
La sera a cena siamo stati intrattenuti dai mille racconti di caccia e di moto del vescovo Pante.
Sabato a pranzo, per salutare tutti le persone che ci hanno accolto con gioia al nostro arrivo al Pastoral Center, abbiamo organizzato una grande festa: balli, canti e tanto cibo africano!
Per la grande gioia dei geologi non poteva mancare la visita alla Rift Valley, che da Maralal dista circa 2 ore di matatu. Il paesaggio mozzafiato che ci si e’ presentato appena siamo arrivati in cima e’ indescrivibile, 1000 metri di dislivello ci separavano dai villaggi dei Pokot.
Arricchiti dalle esperienze appena vissute, partiamo pieni di entusiasmo verso una nuova comunita’.
Elettricita’ permettendo ci sentiremo da Lodungk‘owe.
VI PUNTATA
Rieccoci dopo 10 giorni di silenzio, non per colpa nostra ma a causa dell'assenza di una connessione!
Ci eravamo lasciati alla partenza da Maralal, dove tra risate e qualche lacrima abbiamo salutato i nostri nuovi amici.
Il viaggio è stato parecchio avventuroso, i 60 km si sono trasformati in un tot di soste e autostop di amici e pastori locali, con tanto di pecora investita (per fortuna subito rialzatasi). Abbiamo visto la missione di Kilima, sotto cui è anche Lodungokwe, il ponte di ferro fatto costruire da don Marco Prastaro, e finalmente Lodokejeck, tappa obbligata per noi nostalgici pinesi.
Dopo pranzo siamo arrivati infine a Lodungokwe, dove ci ha accolti Gatito, un giovane diacono, in attesa dell'arrivo di padre Leo.
Non ci è voluto molto per renderci conto che qui è molto più "Africa", o quanto meno l'Africa che ci immaginavamo: terra rossa, niente elettricità né acqua calda, niente segnale del telefono, bagni assai spartani,... ma grandi sorrisi di benvenuto e un panorama che ristora gli occhi e il cuore!
Appena sistemati abbiano fatto un giretto per il paesino e iniziato ad assaporare le particolarità di questo luogo che a prima vista sembrerebbe inospitale, visto gli alberi sradicati dagli eleganti all'interno della missione, (vicinissimo a dove dormono i nostri tre valorosi uomini), visitato la scuola e esplorato un pezzo della montagna in cima a cui prendono i telefoni.
Verso sera abbiamo scambiato due chiacchiere con padre Leo, giovanissimo prete colombiano ordinato da un anno, che ci ha raccontato come qui l'aiutare e seguire la vita spirituale della comunità non possa essere scisso dal sostenere lo sviluppo e il benessere della comunità, lì dove lo Stato non arriva.
Dopo un'abbondante cena, la prima sorpresa: un elefante stava mangiando a pochi passi dalla casetta dei ragazzi! L'elefante in tutta la sua grandezza non si vedeva benissimo, perché si "nascondeva" dietro gli alberi che poi abbatteva...quello che tutti abbiamo visto erano le sue orecchie, la proboscide e il suo enorme fondoschiena! ;)
Il giorno seguente ci hanno messo subito al lavoro nell'opera di ritinteggiatura dell'esterno della casa, e abbiamo iniziato il nuovo compito con il solito entusiasmo. Tuttavia dopo alcuni giorni di pittura, seppur incorniciati da meravigliose albe e tramonti, temevano che si fossero dimenticati di noi. Finchè giovedì sera ci hanno portato su una roccia a circa 20min di strada (strade che qui sono molto meno disastrate, caratteristica molto apprezzata specialmente dalla schiena di Elisa!)  per vedere un tramonto sull'altopiano, circondati da zebre di gerby e babbuini.
Venerdì pomeriggio la vera svolta: davanti alla parrocchia si sono radunati bambini a non finire e ragazzi volenterosi di un confronto e di una partita a pallacanestro. Dopo i primi giochi con i più piccoli, sono arrivati una quindicina dei ragazzi più grandi che beneficiano di un progetto di sostegno per gli studi alla scuola secondaria, desiderosi di parlare con noi e contenti di potersi raccontare. Ci colpisce come il loro sapersi privilegiati per il fatto di poter studiare li spinga a sopportare ritmi per noi insostenibili (sveglia alle 3.50 - bed time alle 22.00), e soprattutto ad avere grandi ideali.
Ed è nel contempo bello e triste scoprire da padre Leo come tanti, tanti giovani vengano a chiedere insistentemente alla missione di essere inseriti nel progetto. 
Stanchi ma felici ancora non sapevamo di cosa ci aspettava l'indomani: dopo colazione siamo partiti con Serafino e Padre Leo alla volta di una piccola comunità in cui avrebbe celebrato la messa domenicale. Dopo guadi, salti e strade con più buchi che terra siamo arrivati in questa chiesetta sperduta in mezzo al nulla, dove ci ha accolto un gruppetto di donne e bambini Samburu. Al richiamo della campana si è unito ancora qualcuno ed è iniziata la messa, in lingua Samburu, con Serafino che traduceva le parti in inglese. Al di là della difficoltà di comprensione dovute alla lingua, è stato comunque molto intenso pregare lo stesso Dio nello stesso modo, ma in un luogo tanto distante e con una comunità così diversa per vissuto e tradizioni.
Al termine di balli e canti siamo saliti tutti in auto pensando di tornare a casa, dopo aver accompagnato un po' di persone qua e là: eravamo in 13 dietro, dove di solito si sta in non più di 10, e tutti cantavano a squarcia gola. Invece ci siamo fermati per andare a trovata una malata, dove la nostra dottoressa personale ha dato il meglio di sé. Ripartiti di nuovo abbiamo raggiunto la nostra ultima destinazione ovvero la manyatta di una famiglia, che ci ha fatto sperimentare l'ospitalità kenyiota facendoci visitare la casa e offrendoci l'immancabile chai.

Nel pomeriggio ultima tranche di pittura e pulizia finestre e, anche se forse non abbiamo fatto molto per la missione o per la comunità, è stata una bella occasione per condividere tra di noi le esperienze più significative e toccare con mano, anche osservando padre Leo e Gatito, come la vita di un missionario non sia fatta solo di dialogo e incontri con la comunità, ma anche di normale e spesso noiosa routine e amministrazione.
Dopo cena consegna di tutte le cose che lasciamo qui e infine nanna, domani ci aspetta una sveglia alle 4.30 per riuscire ad arrivare a Nairobi, nostra ultima destinazione!


VII PUNTATA
Domenica ci attendeva il viaggio di ritorno verso Nairobi, iniziato assai prima dell'alba per riuscire a vedere gli animali del Samburu Park di buon mattino. Ma come prevedibile il tempo di viaggio si è dilatato in perfetto stile africano, e dopo un'oretta (leggi --> 4 ore abbondanti) abbiamo potuto iniziare il nostro safari. La nostra pazienza però è stata premiata: siamo finalmente riusciti a vedere gli elefanti alla luce del giorno, con tanto di cuccioli al seguito, e tra un Pumba ed un Timon siamo arrivati a 10 metri da una giraffa che mangiava e ci fissava senza il minimo timore. Gli unici animali che non siamo riusciti a vedere sono stati i micioni cresciuti, che probabilmente erano
da qualche parte a ripararsi dal sole ormai alto. Dopo altre interminabili ore di viaggio e una foto all'equatore, a grande richiesta della nostra geologa, siamo finalmente arrivati alla Consolata di Nairobi, dove abbiamo riassaporato l'ebbrezza di una doccia calda! L'indomani visita al museo Nazionale e nel pomeriggio un giro per il centro della caotica capitale. E per non farci mancare proprio niente, Ema ha pensato bene di voler far un giro all'ospedale, per controllare se aveva la malaria...con esito fortunatamente negativo!
Ed ora, incredibile ma vero, eccoci di nuovo qui in aereo, e questa volta per rientrare in Italia...

Siamo arrivati alla fine di questa incredibile esperienza e adesso la sfida è vivere il nostro mandato missionario "di ritorno", provando ad abbattere le barriere che ci impediscono di vedere nell'altro un fratello o una sorella e a rimediare alle ingiustizie alla nostra portata con la stessa gioia, generosità e determinazione delle persone che abbiamo incontrato.
 Vi salutiamo, con un grandissimo GRAZIE a tutti voi per averci seguiti e sostenuti con pensieri e preghiere! 
Francesca e Marika, a voi la parola! E per qualunque imprevisto ricordate: "Hakuna Matata!" ;))

ESPERIENZA A SANTIAGO DEL ESTERO - ARGENTINA (dal 16 agosto al 20 settembre 2013)

I Puntata...
Mentre l'esperienza kenyota continua, sta iniziando l'esperienza missionaria di Francesca e Marika a Santiago del Estero...
Presto invieranno le prime notizie.



II Puntata... ECCOCI
Abbiamo salutato Torino l’8 agosto e solo oggi, dopo una settimana a San Miguel, siamo finalmente arrivate a Santiago.
In questa settimana siamo state ospiti dei parenti di Francesca e ci è stato subito chiaro che in loro non è scomparso il calore pugliese. Noi che siamo sempre un po’ freddine siamo state travolte da baci e abbracci a non finire e piano piano abbiamo accolto anche noi questa abitudine. La frase più sentita? “ Se no les  gustan chicas, vuelvan atras, no hay problema!” (Se non vi piace ragazze, tornate indietro, non c’è problema!). L’avremo sentita una cinquantina di volte ma non sono riusciti a farci cambiare idea e piene di entusiasmo e voglia di fare siamo partite con il pullman e abbiamo lasciato San Miguel alla volta di Santiago: 1200 kilometri, 14 ore di pullman, abbiamo attraversato l’Argentina ed eccoci a Santiago! La nostra ansia di non trovare nessuno alla stazione era del tutto inutile infatti, appena scese dal bus, Suor Patrizia ci ha accolte a braccia aperte.


Siccome siamo viaggiatrici instancabili, appena arrivate abbiamo accettato l’offerta di Suor Lucrezia di partecipare ad un incontro nazionale di gruppi missionari domenicani che si svolgerà a la Riojas, una città che si trova a 8 ore di pullman da Santiago. Così a poche ore dal nostro arrivo stiamo già preparando una borsa per questi 3 giorni di avventura nell’avventura…
Siamo state felici di poter avere notizie dei nostri compagni di viaggio da Napoli e dal Kenya: questa staffetta missionaria ci piace un sacco e quindi tenteremo di scrivere più spesso possibile. Vi teniamo aggiornati… un grosso abbraccio santiagueno!!

III Puntata... 
DALLA “FINE DEL MONDO” SI LEVANO APPLAUSI PER DIO:
“porque no puedo callar lo que he visto y oido”
 Grazie ragazzi del passaggio di testimone e buon rientro a casa. Noi qui in Argentina ci sentiamo davvero guidate e sostenute dallo Spirito Santo. Ci sembra sia stata opera Sua il fatto di poter vivere qualche giorno di ritiro prima di essere catapultate nella vita missionaria delle sorelle che ci ospitano, e che per un po’ sarà la nostra vita! Dio ci vuole felici! E’ questa la prima cosa di cui ci siamo ricordate arrivate a la Rioja e più precisamente al primo incontro nazionale dei missionari domenicani. Dal convento che ci ha ospitati ad ogni ora del giorno si levavano applausi per Gesù, balli, canti, benedizioni, e ci siamo sentite piene: invase dalla gioia di un amore che non segue le regole mondane, ma che travolge pazzo e irrefrenabile com’è.
“AGUANTAR CON ALEGRIA”. Resistere con allegria è il motto dei missionari domenicani. Perché la gioia che ci da la fede la immaginiamo, ne parliamo, ma viverla la rende vera! L’obiettivo finale di questo incontro era quello di istituire una equìpe missionaria nazionale con rappresentanti, laici e religiosi, di tutti i gruppi missionari delle comunità domenicane argentine: una proposta di missione concreta da attuare nel 2015 che è stata accolta da tutti con grande entusiasmo. E così, dopo tre intensissimi giorni, abbiamo salutato la Rioja diretti verso “casa”. Arrivate a Santiago abbiamo sfruttato questa prima settimana per comprendere i ritmi del posto, conoscere ed entrare in contatto con le attività della comunità e solo dopo questo primo approccio abbiamo deciso insieme a Suor Patrizia, la nostra sorella più “esperta”, come impegnare i nostri giorni futuri. Di uno dei nostri incontri in seminario ci sono rimaste impresse due cose in particolare, che sono le più difficili da mettere in atto quando si arriva in questo mondo, così lontano dal nostro: l’astensione dal giudizio e il ricordarsi che la terra che calpestiamo è santa!
L’impatto visivo con la realtà del Barrio è duro, non ci sono fronzoli, la realtà è quella che si vede: il colore che domina su tutto è il grigio, il grigio della terra che qui è ovunque, si calpesta, si respira, si appiccica addosso. Se uno non riesce ad astenersi dal giudicare ciò che guarda gli pare che anche le persone siano grigie…e così si perde la parte più colorata di questa esperienza: le persone, i loro sguardi e i loro sorrisi! Perciò siamo grate di questi due preziosissimi consigli che ci accompagnano nella nostra vita santiaguegna.
     A presto Francesca e Marika.

IV Puntata...
“6 1 6 3, una chiamata per Dio!”
 Potremmo parlarvi di una settimana missionaria!
La vita del Barrio 8 de April è stata gioiosamente invasa da un gruppo di giovani, provenienti da un collegio della Consulta di Mendoza, intenzionatissimi a vivere con pienezza e carità i giorni precedenti la festa di Santa Rosa, patrona della Capilla e del Barrio. Abbiamo quindi cantato, assistito ad uno spettacolo teatrale, visto cambiare il colore della chiesa grazie ad una tinteggiatura da maestri e siamo state aiutate nel nostro servizio alla mensa. Il tutto è culminato nella grande festa: qui la gente ha una grande devozione per i santi e quindi per festeggiare Santa Rosa è stata organizzata, come d’abitudine, una bella cerimonia con una grande festa e cena condivisa, precedute da una processione per le strade del Barrio con tutta la comunità.
Quando abbiamo iniziato a scrivere questo articolo era domenica pomeriggio, e come tutti i fine settimana qui è una competizione di musica tra vicini di casa, una gara a chi la tiene più alta e a chi ha la musica migliore e noi siamo esattamente nel centro della battaglia: il lato positivo è che possiamo non scomodarci a cambiare canale; quello negativo è che siamo nell’impossibilità di spegnere il rumore quando ci sembra troppo forte. Così è la domenica Santiaguena.
La riflessione che ci ha impegnate negli ultimi giorni (tra l’entusiasmo rumoroso dei più giovani e il silenzio della nostra casa) ha riguardato l’esperienza missionaria nella sua essenza.
Quando l’entusiasmo della novità scema, arriva la fatica e cambia la prospettiva. Sembra tutto inutile, un tuo capriccio essere qui e una tua mancanza non riuscire ad essere sempre attivo e creativo nelle cose che ti propongono. Questo è un po’ quello che ci è successo in questi giorni.
Parlarne con qualcuno e confrontarci tra di noi ci ha permesso di volgere questa situazione al positivo: cosa ti dice il Signore attraverso questa esperienza in cui ti senti così limitato e impotente? Cosa ti propone oggi? Chiedendoci questo la prospettiva è cambiata e anche l’energia è tornata.
La verità è che stare qui ci da per la prima volta la sensazione che nessuno da noi si aspetti nulla e questo ci ha lasciate sperse, ma grazie a questo possiamo riflettere sulla nostra vita standone un po’ fuori. Fare non è sempre tutto … Alle volte bisogna imparare a STARE.
Insieme a questo insegnamento però è arrivata anche un’altra sorpresa. Esattamente come noi, il 16 di agosto, sono arrivati a Santiago 4 giovani dell’ispettoria salesiana meridionale per vivere un’esperienza missionaria, della nostra identica durata, presso l’oratorio di don Bosco. E così abbiamo deciso di incontrarci e di provare a vivere questo STARE tutti insieme con allegria. Così abbiamo aggiunto l’attività dell’animazione in oratorio ai nostri servizi settimanali, tre ore a giocare, chiacchierare, fare pulseritas e merenda insieme ai ragazzi che ogni giorno affollano l’oratorio di Don Bosco qui a Santiago!
E cosa succede se Santa Caterina da Siena incontra San Giovanni Bosco?

                                       Mari e Franci…da Santiago è tutto a voi la linea!



V e ultima Puntata...“Quando salì da santiago todo el camino llore…”

Il titolo di questo ultimo articolo sulla nostra avventura santiaguena è il pezzetto di una canzone che potrebbe essere una delle colonne sonore di questo viaggio. L’abbiamo sentita la prima volta cantata dai parenti di Buenos Aires che quasi si burlavano della nostra destinazione, poi durante i giorni di ritiro con i missionari domenicani è tornata a farsi ascoltare e come per salutarci è riapparsa nella nostra mente i giorni prima di partire.
E’ sabato notte e abbiamo appena lasciato Santiago. Non lo avremmo mai creduto possibile, ma la canzone diceva il vero e nemmeno noi abbiamo potuto lasciare questa terra, queste persone senza gli occhi colmi di lacrime. La sensazione di salutare delle persone con la consapevolezza che  probabilmente non le rivedrai mai, lascia un senso di disperazione che, unito alla gioia di tornare da quelle persone che invece nella tua vita ci sono sempre, libera un pianto che è uno splendido miscuglio tra gioia e tristezza.
 Qualcuno prima di partire ci ha detto che avremmo avuto bisogno di tempo per comprendere quello che avremmo vissuto e a noi sembrava strano ma ora non lo è più così tanto. Abbiamo condiviso la vita comunitaria delle sorelle con i momenti di divertimento e di fatica; siamo state avvolte dal calore della gente; abbiamo bucato in bici; ci siamo ammalate; abbiamo pianto per la nostalgia; abbiamo servito da mangiare condividendo il lavoro quotidiano di tutti i volontari de comedor; sopportato i quaranta gradi invernali di Santiago; abbiamo conosciuto mamme con una forza straordinaria e i loro meravigliosi bambini con cui abbiamo passato pomeriggi a giocare; abbiamo incontrato quattro amici italiani che negli stessi nostri giorni facevano una esperienza di missione e abbiamo camminato insieme per un po’; abbiamo pregato per le persone incontrate lungo il cammino e per quelle che lontano ci aspettavano nostalgiche;  abbiamo sperimentato l’onnipotenza di Dio nel vedere come alcuni suoi figli riescono a sopravvivere in condizioni di vita disperate mantenendo la voglia di sorridere; abbiamo imparato a ballare i balli del folklore Santiagueno; ci siamo impegnate nei momenti liberi per imparare a fare “pulseritas”… Molto altro manca della nostra esperienza ma qualcosa lo teniamo per raccontarvelo di persona.


Siamo partite perché desideravamo fare questa esperienza, non perché volessimo salvare il mondo (non ce ne vogliano le reginette di bellezza) e infatti non solo non lo abbiamo salvato, ma ora siamo in debito con Lui che ci ha mostrato cosa di noi c’è ancora da salvare.



ESTATE 2012

NAPOLI - QUARTIERI SPAGNOLI
Ai Quartieri il Vesuvio erutta colori !
Anche ai Quartieri l’appuntamento dell’estate è l’oratorio estivo! “I Pirati di Tartatown”,(questo il tema del Grest)  alla ricerca del tesoro nascosto, hanno animato  i vicoli dei Quartieri  e con il loro entusiasmo  hanno contagiato bimbi e genitori,  regalando a tutti un clima di festa e novità.

Quest’anno il  Grest  è stato possibile  grazie al prezioso contributo della nuova équipe di animatori provenienti da lontano, formatasi per l’occasione. Il gruppo  che ha animato il Grest dall’inizio alla fine è stato quello delle ragazze di 
Torino, Verona e Biella, accompagnate  da Sr. Stefania e Sr. Barbara,  e Cecilia, proveniente da Perugia (insegnante della scuola di Perugia). Successivamente si sono aggiunti gli scout di Milano. Già da un po’ di tempo erano state poste le fondamenta per la costruzione di uno speciale “ponte” Napoli - Torino e finalmente abbiamo avuto la gioia di vederlo realizzato.
L’esperienza della nostra  piccola Comunità, che si è allargata per accogliere le ragazze e le suore di Torino, è stata arricchente per tutte. Le ragazze hanno desiderato e contribuito a creare un’esperienza di vita comunitaria, all’interno della quale hanno vissuto anche momenti di riflessione e discernimento vocazionale.

Risonanze piene di gioia e approvazione  tra la gente dei Quartieri, che vedeva in noi la fatica, ma anche i frutti del nostro lavoro. E forse in qualcuno  è  nata una consapevolezza in più, quella che fa dire: “ quando c’è un obiettivo comune è possibile realizzare qualcosa di bello e utile per i nostri ragazzi, è possibile regalare gioia; è possibile la condivisione e la comunione!”. 
Insieme abbiamo scoperto che Il tesoro è nascosto in ognuno di noi, il tesoro siamo noi che portiamo dentro le potenzialità dell’amore che è comunione e che sempre  regala sorrisi e speranza.

La porta dell’oratorio che prima era grigia, ora, con l’aiuto dei ragazzi dei Quartieri, che l’hanno ripulita e dipinta, sprigiona colori. Il simbolo che si è scelto di raffigurare è il Vesuvio, attraversato da una strada, simbolo delle viscere di Napoli (Quartieri) da cui può nascere, non la lava della morte e della distruzione, ma i colori di una vita nuova e più vera.



Martina ci scrive...


Passeggiando sull’arcobaleno…
Ho incontrato sguardi vivaci,
di festosa accoglienza

Ho incontrato saluti inaspettati,
che hanno sorpreso i miei pensieri



Ho incontrato sorrisi puri,
che mi hanno regalato
giorni di vita nuova
Ho incontrato profumi d’incanto,
dal sapore d’estate

Ho incontrato scatti di vita,
racchiusi in cornici
di passione sincera


Ho incontrato mani impaurite,
per quel sottile equilibrio
che all’improvviso può svanire

Ho incontrato ricordi,
che ho salutato con dolce malinconia
Ho incontrato lacrime di gioia,
per la scoperta del tesoro più prezioso

Ho respirato aria di speranza,
per un domani pieno di Bellezza

E nel silenzio gioioso del cuore
ho incontrato Te,
che hai soffiato sulle nostre vele

ho incontrato Te,
sui volti dei miei compagni
a cui dico GRAZIE
per aver affiancato ogni passo
e per aver reso
ogni attimo condiviso,
così presente…

…e come un’onda l’arcobaleno
ha travolto il grigio di una strada!


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