Essere inviati in missione
E' un grande piacere per me essere di ritorno ad Assisi. Per favore,
perdonate il mio terribile italiano: mi vergogno di esso! Mi piacerebbe parlare
riguardo a come possiamo condividere la nostra fede con i nostri contemporanei.
Normalmente, noi associamo questo con parlare sul vangelo. Ma di quanti sermoni
vi ricordate? Forse ancora più importante di quello che diciamo e come siamo il
Corpo di Cristo. Santa Teresa d'Avila disse:
Cristo non ha in terra se non il tuo, non ha altre
mani se non le tue, non altri piedi se non i tuoi. Tuoi sono gli occhi
attraverso i quali guarda la compassione di Cristo per il mondo. Tuoi sono i
piedi con i quali lui può andare per il mondo facendo il bene. Tue sono le mani
con le quali lui può benedire la gente adesso.
Quindi, voglio guardare a come noi siamo inviati a far sì che il volto di
Cristo, i suoi orecchi, la sua bocca e le sue mani siano presenti oggi.
Il volto
Incominciamo dal volto. Quando amiamo qualcuno, la cosa più importante e
che loro ti sorridano. Ricordo quando ero un timido adolescente, disperatamente
girando attorno a
una ragazza dalla quale ero infatuato, sperando che lei si accorgesse che io
esistevo e mi donasse un sorriso. Se il suo sguardo mi oltrepassava, allora
sentivo che non esistevo affatto. E se lei faceva sì che il suo volto
diventasse una dura maschera, allora ero devastato. Lei si innamorò di un
soldato ed io diventai un domenicano!
Una volta andai a una festa organizzata per dare il benvenuto al nostro
Arcivescovo. Là si trovava anche lei, all'altro lato della sala. E l'ho sentita
dire a voce alta, segnalandomi: «Quello è il primo uomo che ho mai baciato». E
fu allora che mi resi conto di aver fatto una buona scelta nel diventare
domenicano!
Così Israele era con Dio. Loro semplicemente volevano che Dio li
sorridesse. "Lascia che il tuo volto risplenda su di noi e noi saremo
salvi" (Sal 80,3). Quando noi pensiamo alla salvezza, forse lo
facciamo come un evitare di essere puniti e di avere i peccati perdonati. Ma
per l'Antico Testamento la cosa era più umana. Era Dio guardandoci con amore.
Il testo biblico più antico si trova su un pezzettino di cuoio sul quale sono
scritte queste parole: "Ti benedica il Signore e ti protegga. Il
Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore
rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace"' (Num 6, 24-26).
Quando qualcuno ci guarda amorosamente, allora noi possiamo riposare in quell
sorriso.
Il volto di Dio si fecce carne nel volto di Gesù. Lui localizzò tutte le
persone che avevano bisogno di quel sorriso. Lui vide il piccolo Zaccheo
sull'albero e gli sorrise; lui vide Levi aspettando al suo banco delle imposte
in mezzo alla folla e lo chiamò. Ci sono milioni di persone che si sentono
invisibili e soltanto vogliono essere guardate. In Lima ci fu una mostra
fotografica sui bambini di strada, e sotto la foto di un bambino desolato c'era
scritto: Saben que existo, pero no me ven. Sanno che esisto ma non
mi vedono. Simone Weil disse: "L'amore vede ciò che è invisibile."
Quando sorridiamo a qualcuno, noi mostriamo il loro valore a chiunque
altro. Raimund Gaiti è un filosofo australiano. Quando aveva diciasette anni
lavorava come assistente di reparto in un ospedale psichiatrico in Australia. I
pazienti avevano perso ogni segno di intelligenza umana e di dignità. Molti dei
dottori e delle infermiere erano professionisti, gente decente che parlava
sulla inalienabile dignità di queste persone malate. Un giorno venne una suora
a visitarli. Lui rimase ammagliato dal come lei si rapportava ai pazienti. Il
suo sorriso e le sue parole erano straordinarie "per il potere di rivelare
la piena umanità di coloro le cui afflizioni avevano reso la loro umanità
invisibile. Amore è il nome che diamo a quel comportamento"' Lui
sottolinea che le guardie carcerarie vedranno I prigionieri in un modo nuovo
quando li hanno visti assieme a persone che li amano. I bambini imparano a
voler bene ai loro fratelli e sorelle perché vedono i loro genitori guardarli
con amore.
L'amore anela che il sorriso sia ricambiato. E questa è la bellezza e il
rischio della missione. Qualcuno mai sorriderà in risposta? In Oxford, dove
vivo, ci sono tanti mendicanti, e loro cercano di attirare il tuo sguardo. Noi
rispondiamo al loro sguardo? Un giorno sono stato portato a visitare una grossa
discarica a Kingston, Giamaica, dimora della gente più povera. Individuai una
vecchia baracca, quasi un grosso scatolone di cartoni. Quando mi sono
avvicinato, una madre e il suo giovane figlio emersero. Mi invitarono dentro,
mi offrirono una Coca che avevano, presumo, trovata nella discarica, e il
ragazzo mi offrì di scambiare le nostre T shirts. Ero profondamente commosso.
Ho conservato quella T shirt per anni. Adesso sembra che si sia ristretta
troppo, e non ci sto più dento. Non era il fatto soltanto che io avevo visto
loro, ma che loro avevano visto me, io esistevo ai loro occhi, sono stato
invitato nel loro focolare.Anche se solo per un breve momento, mi hanno
invitato ad essere loro fratello.
Quindi, questa è la nostra prima missione, offrire lo sguardo d'amore di
Dio. Dio si compiace nelle persone. Dio si delizia in loro, ed è il perché loro
esistono. Noi dobbiamo imparare ad essere il volto di Dio che si rallegra nelle
persone. Dopo dobbiamo imparare come ascoltare con le orecchie di Gesù. Noi
dobbiamo essere le sue orecchie oggi.
Le orecchie
Abitualmente pensiamo che i predicatori siano persone che parlano. Stanno
sui pulpiti e dicono alla gente come stanno le cose. Ma non c'è predicazione
del vangelo fino a che uno non abbia ascoltato. Quando le persone venivano da
Gesù, lui abitualmente li lasciava parlare per primi. Non li fa ingoiare il
vangelo, ma vuole scoprire cosa vogliono. Quando il cieco Bartimeo venne da
lui, Gesù gli dice: 'cosa vuoi che io faccia per te?'. Avrebbe potuto pensare
che fosse ovvio. L'uomo non può vedere. Miracolo veloce, Zac, e
avanti. Ma non! Gesù vuole sentire da quell'uomo stesso quello che vuole. Lui
risponde ai nostri desideri. Così, i lebbrosi vengono e domandano di essere
sanati, e i discepoli domandano di insegnar loro a pregare. Gesù ascolta.
Noi non siamo venditori in una svendita mercanteggiando Dio come la
risposta a tutto. Noi incominciamo dove le persone si trovano e con quello che
loro vogliono. Che può essere giusto un po' di compagnia, o qualcuno che li
faccia la spesa quando sono malati, o qualcuno che li tenga la mano. Ma se noi
rispondiamo a quello che loro vogliono, allora lentamente loro possono arrivare
a scoprire i loro desideri più profondi, i quali sono per Dio. Lasciamoli
prendersi i loro tempi.
Ascoltare le persone è una delle arti più grandi del mondo. Tu ascolti come
loro usano le parole, e può essere che non sia nel modo nel quale tu usi le
stesse parole. Quando arrivai a Roma come Generale dei domenicani, scrissi la
bozza di una Lettera all'Ordine. La diedi al mio vicario, che era un Americano,
e aspettai il suo commento con timore e tremando. Lui ritornò e mi disse: «It's
quite good.» "E' abbastanza buona". Io sono stato sul punto di
strapparla. Qualche mese più tardi scoprii che in inglese Americano, «quite
good» significa "eccellente". In inglese Britannico significa «pretty
bad», "abbastanza male". Quindi per favore non venite a dirmi
dopo che questa conferenza è stata «quite good».
Ho ricevuto un e-mail dalla Costa d'Avorio l'altro giorno, nella quale ci
si rivolgeva a me come «Dear slut», "caro sgualdrino". Mi
domandavo cosa sapessero di me! Fu soltanto quando lessi che avevano preso il
mio mail dal «slut Provincial», dallo "sgualdrino Provinciale" che ho
indovinato che nel loro dialetto, la parola potesse significare qualcosa di
diverso!
Qualche volta siamo spaventati di ascoltare perché siamo disturbati da
quello che viene detto. O possiamo essere spaventati perché non abbiamo idea di
cosa potremo dire in risposta. Quando ero un molto giovane e inesperto
cappellano universitario, una bellissima giovane studentessa venne da me per
avere una chiacchierata molto personale. La maggior parte della quale, centrata
sulla sua piuttosto esotica vita sessuale. Al di sopra di tutto io ero tanto
nervoso di quello che avrei potuto dire quando lei avesse finito di parlare,
che di fatto smisi di ascoltare. E quando in effetti lei smise di parlare, io
non avevo nulla da dire! Se noi realmente ascoltiamo, con tutta la nostra
immaginazione, con tutta la nostra apertura di mente e di cuore, allora Dio ci
darà qualcosa da dire.
Scusate se mi cito ancora. Non posso farne a meno. Prometto di non farlo
più, eccetto domani! Una volta, quando dovetti dar il benvenuto al Papa
Giovanni Paolo II in una delle nostre università, ho memorizzato un po' di
polacco. Quando io finii, lui completò la frase. E allora io dissi in italiano:
«Spero che la mia pronuncia polacca sia migliore di quella italiana». E lui
replicò come un lampo: «Se il cuore è aperto, la mente comprende» Per tanto,
noi dobbiamo ascoltare con un cuore intelligente, o potete anche dire con una
mente amante.
Se siamo auto-assorbiti, allora noi non ascolteremo quello che l'altra
persona dice. Noel Coward, il drammaturgo inglese, una volta incontrò dopo
molti anni un amico, e gli disse: «Non c'è tempo di parlare di noi due, quindi
parliamo di me»' Ascoltare è una disciplina spirituale. Tu hai aperto te stesso
a un'altra persona. Dominique Pire è stato un Domenicano belga che ha ricevuto
il Premio Nobel dopo la Seconda Guerra per il suo lavoro di pace. Usava dire:
«Uno deve essere pronto per riempire se stesso con l'altro. Oso ascoltare
qualcuno che ha idee differenti dalle mie? Oso ascoltare qualcuno che potrebbe
sfidarmi?»
Le persone avevano timore di ascoltare Gesù qualche volta, mentre lui mai
ha avuto timore di ascoltare chicchessia.
Quindi, noi abbiamo sorriso e abbiamo ascoltato, e adesso possiamo essere
pronti per parlare. Noi siamo la bocca di Dio.
La bocca
Qui è dove molti di noi diventiamo nervosi. Cosa ho da dire? Quando ero un
novizio domenicano, ero stupito che molti dei miei con novizi fossero
impazienti di iniziare a predicare. Io temevo quel momento. Sentivo che non
sapevo niente, e che sarei stato paralizzato dai nervi. Avevo tante domande e
tanti dubbi. Amavo studiare, ma ero terrorizzato dal fatto che un giorno avrei
dovuto aprire bocca. Voi potreste pensare che ero stupido nell'entrare l'Ordine
dei Predicatori! Ero - come si suol dire - come un tacchino votato al Natale!
Considerando che non sono l'unico ad avere queste preoccupazioni, guardiamole
una per una. Gesù è la Parola di Dio. La Parola di Dio non è principalmente per
comunicare fatti. Dio pronuncia la sua Parola e le cose vivono. Dio dice "Sia
la luce" e così è stato. "Siano gli scoiattoli", perfino
"Sia Timothy Radcliffe", e tutti ci siamo. Gesù, in quanto Parola di
Dio, dice alla gente parole che guariscono, parole accoglienti, che mettono in
piedi e che a volte li confrontano.
Per tutto il giorno noi chiacchieriamo, ci raccontiamo barzellette,
mandiamo messaggi, scriviamo sui blog, parliamo delle notizie, mormoriamo per
le conferenze noiose, spettegoliamo. Parlare è l'attività umana più importante.
E la più grande questione morale è: offriamo alle persone parole che danno
vita, che valorizzano e carezzano; o diciamo parole cattive che accusano,
minano e denigrano? Offriamo la Parola di Dio, che è creativa, oppure le parole
di Satana, distruttive e sovversive? Trattiamo le persone come spazzatura?
Si racconta di un Rabbi che stava diventando pazzo a causa di una donna
che, nella sinagoga, spettegolava sempre di tutti, raccontando storie cattive.
Così un giorno la portò sulla cima di un'alta torre e le disse di svuotare un
cuscino. Le piume caddero sulla città. Poi le disse: «Adesso va' e raccogli
tutte le piume», e lei rispose: «Rabbi, è impossibile; sono ovunque». E il
Rabbi disse: «Lo stesso vale per le tue parole cattive». Dunque, se oggi
dobbiamo essere la bocca di Gesù, allora innanzitutto dobbiamo dire parole che
carezzano e venerano le persone, specialmente coloro che vengono trattati da
spazzatura e che si sentono disperati e sull'orlo del baratro, poiché questi
sono gli amici di Dio.
Ma che ne è dei miei dubbi e delle mie domande? Potrei sentire che non
conosco molto la mia fede, e magari chiedermi perfino se ci credo per intero.
Devo pretendere di credere? Quando le persone dicono cose con grande
insistenza, ad alta voce e con grande sincerità, allora incominci a sospettare
che forse non credono davvero profondamente!
Quando, alla fine del vangelo di Matteo, Gesù invia i discepoli a predicare
fino ai confini del mondo, si dice che "alcuni dubitavano". Questo lo
adoro. Ecco, essi sono sulla montagna, di fronte a Gesù risorto, e alcuni ancora
non erano sicuri. Ma Gesù li invia comunque! Nel vangelo di Giovanni, la prima
predicatrice è la donna del pozzo. È una donna con una cattiva reputazione. Ha
vissuto con cinque uomini. Probabilmente era considerata una prostituta. E fu
piena di dubbi e domande su questo strano uomo di nome Gesù. Ma lei è la prima
predicatrice. E la prima persona che confessa la divinità di Gesù è Tommaso
l'incredulo. Stentava a credere nella resurrezione. Voleva delle prove. Voleva
mettere la mano nel costato di Gesù. E fu quest'uomo incredulo e interrogativo
che per primo disse a Gesù: "Mio Signore e mio Dio".
Dunque quando parliamo della nostra fede, qualcuno di noi potrà avere delle
incertezze, dei dubbi, e cose irrisolte. E questo va bene! Perché così le
persone vedranno che essere Cattolico non significa avere tutte le risposte. Il
cardinal Kasper dal Vaticano ha detto che la Chiesa potrebbe avere molta più
autorevolezza se dicesse più spesso «Non lo so».
Il più grande insegnante della Cristianità fu il domenicano san Tommaso
d'Aquino. Ovviamente sono del tutto imparziale! Tommaso amava questo testo: «Non
chiamate nessuno maestro, perché c'è un solo Maestro che è nei cieli».
Quando ero Maestro Generale dell'Ordine, mi sono reso conto che la gente amava
particolarmente questo testo. Appariva con sospettosa frequenza nelle letture.
Nessuno di noi è maestro. Noi accompagniamo le persone mentre impariamo,
condividendo le loro domande e perplessità. Camminiamo l'un con l'altro,
pensando assieme. Ragioniamo mentre cerchiamo.
Mi ricordo di un altro confratello, Herbert McCabe. Si racconta che quando
aveva sei anni sua madre lo rimproverò per averne combinata una. Gli disse:
«Sei diventato un bambino molto cattivo. Potresti aver commesso addirittura un
peccato mortale». E il giovane Herbert sembra che abbia risposto: «Impossibile,
mamma. Non posso commettere un peccato mortale fino a che non raggiungo l'età
della ragione. Secondo la Chiesa non l'ho ancora raggiunta a sei anni. Il tuo
ragionamento è quindi sbagliato». Ma diciamo una parola buona sulla dottrina.
Nella nostra società c'è un diffuso dottrinale pregiudizio contro la dottrina.
Si crede che la dottrina impedisca di pensare. I bambini accettano la dottrina.
Ma gli adulti pensano da soli. La dottrina rende intolleranti verso le altre
fedi. È un conflitto di dottrine che ha portato le persone religiose a uccidersi
l'un con l'altro in Israele, Iraq e Pakistan. Lasciamo il dogma e dirigiamoci
verso qualcosa di bello e amicale come la spiritualità!
Ma la vera dottrina non chiude mai le menti. Sempre ci spinge verso il
mistero. La vera dottrina è un'avventura senza fine nel mistero di Dio. G.K.
Chesterton parlò dell'avventura dell'ortodossia. Siamo battezzati nel mistero
della Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo. C'era un vecchio e venerabile
domenicano irlandese, il cardinale Michael Brown. Fu Maestro dell'Ordine e teologo
della casa pontificia. Quando era bambino fu battezzato con emergenza da una
vecchia suora. Riuscì a rintracciarla col proposito di ringraziarla. La suora
gli disse: «Eminenza, è stato un onore battezzarla nel nome di Gesù, Maria e
Giuseppe». Immediatamente egli pensò: «Se non sono stato battezzato
correttamente, allora non avrei potuto essere ordinato sacerdote, e non sono
nemmeno cardinale!»
Le dottrine della Trinità, della divinità di Cristo, della resurrezione
sono davvero emozionanti. Quando ero un giovane domenicano nei pazzi anni '60,
quando tutto sembrava cadere, rimasi nell'Ordine per una sola ragione: i miei
confratelli m'insegnarono il grande entusiasmo, lo splendore e la meraviglia
della dottrina.
Non tutti abbiamo la vocazione a essere insegnanti di dottrina. Qualcuno di
noi sarà bocca di Gesù in altri modi, magari addirittura più profondi,
pronunciando parole che guariscono e che danno vita. Così abbiamo visto come
possiamo essere volto, orecchio e bocca di Dio. Adesso arriviamo al più importante
dei sensi umani, il tatto.
Il tatto
Gesù ha camminato toccando le persone. Ha toccato i corpi dei malati. Ha
toccato i lebbrosi. Ha toccato perfino i morti, cosa che lo avrebbe reso
impuro. Era perfettamente a suo agio anche con l'essere toccato. Ricordate la
donna che probabilmente era una prostituta. Lasciò che gli lavasse i piedi e li
asciugasse con i suoi capelli. Trovo che l'idea che qualcuno mi asciughi i
piedi con i suoi capelli sia strana e sgradevole. Ma Gesù era a suo agio con il
suo proprio corpo e con i corpi degli altri. Perché toccare era così
importante?
San Tommaso d'Aquino, il nostro grande dottore, disse che era il senso più
umano. Le aquile vedono meglio di noi. Rispetto ai cani non abbiamo un naso
degno di cui parlare. I pipistrelli sentono cose che noi non possiamo sentire.
Ho detto la stessa cosa nella cattedrale di Brisbane l'estate scorsa, e tutti
si sono alzati in piedi e hanno applaudito. Non sapevo che il soprannome
dell'arcivescovo, che presiedeva la messa, fosse pipistrello! Così ho detto che
i pipistrelli sentono cose che noi non sentiamo, fece piacere a tutti, compreso
l'arcivescovo. Ma il tatto è davvero il senso più umano. Quando davvero amiamo
qualcuno il nostro primo desiderio è di toccarlo.
Ma perché è parte dell'amore? Perché quando ami, il contatto è reciproco.
Quando tocchi qualcuno che ami, questi ti tocca a sua volta. Puoi vedere o
sentire senza essere visto o sentito. Puoi annusare senza essere annusato,
almeno dagli esseri umani. Ma non puoi toccare senza essere toccato. Ecco
perché toccare in maniera abusiva o senza amore, è una cosa terribile, perché
distrugge l'essenza del tatto, che è la reciprocità. Gandhi si rifiutò di
chiamare la casta più bassa dell'Induismo "gli intoccabili".
Ovviamente, significava che nessuno si sarebbe lasciato toccare da loro. La
compassione ci dà un cuore di carne. Significa che vogliamo raggiungere le
persone che gli altri rifiutano.
L'anno scorso il Dalai Lama è venuto a visitare la mia comunità di
Blackfriars, per prendere parte ad una discussione sulla contemplazione nelle
diverse tradizioni religiose. Paul Murray, il domenicano irlandese, presentò
una splendida conferenza, e c'era presente anche un carmelitano. Il Dalai Lama
rispose. Non abbiamo risolto le nostre differenze, ma ci siamo ascoltati con le
orecchie ben aperte. Ma ciò che saltò tutte le divisioni non fu ciò che il
Dalai Lama aveva detto, ma quello che fece. Era presente un'amica della
comunità, su una sedia a rotelle. È rimasta paralizzata per un terribile ictus.
Entrando il Dalai Lama si è fermato presso la sua sedia a rotelle e ha poggiato
la guancia sulla sua in silenzio. Ha passato più tempo con lei che tutti gli
altri. Era la personificazione della compassione.
Quando sono stato coinvolto nel lavoro con i malati di AIDS, nei primi anni
Ottanta, ho scoperto l'importanza del contatto. La mia comunità organizzò una
conferenza su Chiesa e AIDS, e fummo travolti dalla risposta. Vollero venire
medici, infermieri, cappellani, malati di AIDS e loro amici. Erano i primi tempi.
Molti di noi non avevano mai conosciuto nessun malato di AIDS. Eravamo un po'
nervosi su come farcela. Ma alla messa finale, un giovane di nome Benedict,
malato di AIDS, mi è venuto vicino per darmi il bacio di pace. E quando l'ho
abbracciato ho pensato: «Questo è il corpo di Cristo che oggi ha bisogno di un
abbraccio». In Cristo, Dio è venuto e ci ha toccati. Dio è in contatto con noi
anche in questo giorno.
Dobbiamo condividere questo contatto.
Poiché la società è preoccupata dei rischi e a causa della paura degli
abusi sessuali, siamo diventati nervosi davanti al contatto. Le paure sono
certamente giustificate. Si è toccato così tanto in maniera abusiva e
distruttiva che la gente è profondamente ferita. Ma dobbiamo recuperare questa
maniera di essere il Corpo di Cristo massimamente umana e massimamente
cristiana. Ci priviamo profondamente l'uno dell'altro, e perfino sembra di
annullare l'Incarnazione, se manteniamo sempre le distanze, quando invece Dio
s'è fatto vicino.
Alla fine della messa ci viene detto: «Andate in pace e amate e servite il
Signore». Siamo mandati a predicare il Vangelo. Non siamo mandati come
rappresentanti di vendite per un nuovo prodotto. Non siamo mandati con
competitività, per battere gli avversari. Siamo mandati per essere il Corpo di
Cristo. Per essere la sua bocca, le sue mani, le sue orecchie e volto. E siamo
mandati a scoprire Cristo nei volti di coloro che incontriamo.
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