"Amo
cosi tanto gli altri perché amo in ognuno un pezzetto di te, mio Dio. Ti cerco
in tutti gli uomini e spesso trovo in loro qualcosa di Te. E cerco di
disseppellirti dal loro cuore, mio DIO.
Quando
prego, non prego mai per me stesso, prego sempre per gli altri [...] perché se
si prega per qualcuno gli si manda un po' della propria forza" (Etty Hillesum)
«Le
cose si possono cambiare?»
«Un
cuore misericordioso sa essere un rifugio per chi non ha mai avuto una casa o
l'ha perduta, sa creare un ambiente di casa e di famiglia per chi ha dovuto
emigrare, è capace di tenerezza e di compassione. Un cuore misericordioso sa
condividere il pane con chi ha fame, un cuore misericordioso si apre per
ricevere il profugo e il migrante. Dire MISERICORDIA INSIEME A VOI, è dire
OPPORTUNITÀ, è dire DOMANI, impegno, fiducia, apertura, ospitalità,
compassione, SOGNI»" (Papa Francesco).
Cari
giovani, buona sera!
E’ bello
essere qui con voi in questa Veglia di
preghiera.
Alla fine
della sua coraggiosa e commovente testimonianza, Rand ci ha chiesto qualcosa.
Ci ha detto: “Vi chiedo sinceramente di pregare per il mio amato Paese”. Una
storia segnata dalla guerra, dal dolore, dalla perdita, che termina con una
richiesta: quella della preghiera. Che
cosa c’è di meglio che iniziare la nostra veglia pregando? Il dolore del mondo adesso, per noi qui, ha
un nome e un volto
Veniamo da
diverse parti del mondo, da continenti, Paesi, lingue, culture, popoli
differenti. Siamo “figli” di nazioni che forse stanno discutendo per vari
conflitti, o addirittura sono in guerra. Altri veniamo da Paesi che possono
essere in “pace”, che non hanno conflitti bellici, dove molte delle cose
dolorose che succedono nel mondo fanno solo parte delle notizie e della stampa.
Ma siamo consapevoli di una realtà: per noi, oggi e qui, provenienti da diverse
parti del mondo, il dolore, la guerra che vivono tanti giovani, non sono più
una cosa anonima, per noi non sono più una notizia della stampa, hanno un
nome, un volto, una storia, una vicinanza. Oggi la guerra in Siria è il dolore
e la sofferenza di tante persone, di tanti giovani come la coraggiosa Rand, che
sta qui in mezzo a noi e ci chiede di pregare per il suo amato Paese.
Ci sono situazioni che possono risultarci lontane fino a quando, in
qualche modo, le tocchiamo. Ci sono realtà che non comprendiamo perché le vediamo solo attraverso uno schermo (del cellulare o del
computer). Ma quando prendiamo contatto con la vita, con quelle vite
concrete non più mediatizzate dagli schermi, allora ci succede qualcosa di
forte: tutti sentiamo l’invito a coinvolgerci: “Basta città dimenticate”, come dice Rand; mai più deve succedere
che dei fratelli siano “circondati da morte e da uccisioni” sentendo che
nessuno li aiuterà. Cari amici, vi invito a pregare insieme a motivo della
sofferenza di tante vittime della guerra, di questa guerra che c’è oggi nel
mondo, affinché una volta per tutte possiamo capire che niente giustifica il
sangue di un fratello, che niente è più prezioso della persona che abbiamo
accanto. E in questa richiesta di preghiera voglio ringraziare anche voi,
Natalia e Miguel, perché anche voi avete condiviso con noi le vostre battaglie,
le vostre guerre interiori. Ci avete presentato le vostre lotte, e come avete
fatto per superarle. Voi siete segno vivo di quello che la misericordia vuole
fare in noi. La nostra risposta a
questo mondo in guerra si chiama fratellanza e famiglia. Noi adesso non
ci metteremo a gridare contro qualcuno, non ci metteremo a litigare, non
vogliamo distruggere, non vogliamo insultare. Noi non vogliamo vincere l’odio con più odio, vincere la violenza con più
violenza, vincere il terrore con più terrore. E la nostra risposta a
questo mondo in guerra ha un nome: si
chiama fraternità, si chiama fratellanza, si chiama comunione, si chiama
famiglia. Festeggiamo il fatto che veniamo da culture diverse e ci
uniamo per pregare. La nostra migliore parola, il nostro miglior discorso sia
unirci in preghiera. Facciamo un momento di silenzio e preghiamo; mettiamo
davanti a Dio le testimonianze di questi amici, identifichiamoci con quelli per
i quali “la famiglia è un concetto inesistente, la casa solo un posto dove
dormire e mangiare”, o con quelli che vivono nella paura di credere che i loro
errori e peccati li abbiano tagliati fuori definitivamente. Mettiamo alla
presenza del nostro Dio anche le vostre “guerre”, le nostre “guerre”, le lotte
che ciascuno porta con sé, nel proprio cuore. E per questo, per essere in
famiglia, in fratellanza, tutti insieme, vi invito ad alzarvi, a prendervi per
mano e a pregare in silenzio. Tutti.
Mentre pregavamo mi veniva in mente l’immagine degli Apostoli nel giorno
di Pentecoste. Una scena
che ci può aiutare a comprendere tutto ciò che Dio sogna di realizzare nella
nostra vita, in noi e con noi. Quel giorno i discepoli stavano chiusi dentro
per la paura. Si sentivano minacciati da un ambiente che li perseguitava, che
li costringeva a stare in una piccola abitazione obbligandoli a rimanere fermi
e paralizzati. Il timore si era impadronito di loro. In quel contesto, accadde
qualcosa di spettacolare, qualcosa di grandioso. Venne lo Spirito Santo e delle
lingue come di fuoco si posarono su ciascuno di essi, spingendoli a
un’avventura che mai avrebbero sognato. La cosa cambia completamente! Abbiamo ascoltato tre testimonianze; abbiamo
toccato, con i nostri cuori, le loro storie, le loro vite. Abbiamo visto
come loro, al pari dei discepoli, hanno vissuto momenti simili, hanno passato
momenti in cui sono stati pieni di paura, in cui sembrava che tutto crollasse.
La paura e l’angoscia che nascono dal sapere che uscendo di casa uno può non
rivedere più i suoi cari, la paura di non sentirsi apprezzato e amato, la paura
di non avere altre opportunità. Loro hanno condiviso con noi la stessa
esperienza che fecero i discepoli, hanno sperimentato la paura che porta in un
unico posto. Dove ci porta, la paura? Alla chiusura. E quando la paura si
rintana nella chiusura, va sempre in compagnia di sua “sorella gemella”, la
paralisi; sentirci paralizzati. Sentire che in questo mondo, nelle nostre
città, nelle nostre comunità, non c’è più spazio per crescere, per sognare, per
creare, per guardare orizzonti, in definitiva per vivere, è uno dei mali
peggiori che ci possono capitare nella vita, e specialmente nella giovinezza.
La paralisi ci fa perdere il gusto di godere dell’incontro, dell’amicizia, il
gusto di sognare insieme, di camminare con gli altri. Ci allontana dagli altri,
ci impedisce di stringere la mano, tutti chiusi in quelle piccole stanzette di
vetro.
Ma nella
vita c’è un’altra paralisi ancora più pericolosa e spesso difficile da
identificare, e che ci costa molto riconoscere. Mi piace chiamarla la paralisi che nasce quando si confonde la FELICITÀ
con un DIVANO / KANAPA! Sì, credere che per essere felici abbiamo
bisogno di un buon divano. Un divano che ci aiuti a stare comodi, tranquilli,
ben sicuri. Un divano, come quelli che ci sono adesso, moderni, con massaggi
per dormire inclusi, che ci garantiscano ore di tranquillità per trasferirci
nel mondo dei videogiochi e passare ore di fronte al computer. Un divano contro
ogni tipo di dolore e timore. Un divano che ci faccia stare chiusi in casa
senza affaticarci né preoccuparci. La
“divano-felicità” / “kanapa-szczęście” è probabilmente la paralisi silenziosa
che ci può rovinare di più, che può rovinare di più la gioventù. “E
perché succede questo, Padre?”. Perché a poco a poco, senza rendercene conto,
ci troviamo addormentati, ci troviamo imbambolati e intontiti. L’altro ieri,
parlavo dei giovani che vanno in pensione a 20 anni; oggi parlo dei giovani
addormentati, imbambolati, intontiti, mentre altri – forse i più vivi, ma non i
più buoni – decidono il futuro per noi. Sicuramente, per molti è più facile e
vantaggioso avere dei giovani imbambolati e intontiti che confondono la
felicità con un divano; per molti questo risulta più conveniente che avere
giovani svegli, desiderosi di rispondere, di rispondere al sogno di Dio e a
tutte le aspirazioni del cuore.
Voi, vi
domando, domando a voi: volete essere giovani addormentati, imbambolati,
intontiti? Volete che altri decidano il futuro per voi? Volete essere liberi?
Volete essere svegli? Volete lottare per il vostro futuro? Non siete troppo
convinti… Volete lottare per il vostro futuro?
Ma la verità è un’altra: cari giovani, non siamo venuti al mondo per
“vegetare”, per passarcela comodamente, per fare della vita un divano che ci
addormenti; al
contrario, siamo venuti per un’altra cosa, per lasciare un’impronta. E’ molto
triste passare nella vita senza lasciare un’impronta. Ma quando scegliamo la
comodità, confondendo felicità con consumare, allora il prezzo che paghiamo è
molto ma molto caro: perdiamo la libertà. Non siamo liberi di lasciare
un’impronta. Perdiamo la libertà. Questo è il prezzo. E c’è tanta gente che
vuole che i giovani non siano liberi; c’è tanta gente che non vi vuole bene,
che vi vuole intontiti, imbambolati, addormentati, ma mai liberi. No, questo
no! Dobbiamo difendere la nostra libertà!
Proprio qui c’è una grande paralisi, quando cominciamo a pensare che
felicità è sinonimo di comodità, che essere felice è camminare nella vita addormentato
o narcotizzato, che l’unico modo di essere felice è stare come intontito. E’
certo che la droga fa male, ma ci sono molte altre droghe socialmente accettate
che finiscono per renderci molto o comunque più schiavi. Le une e le altre ci
spogliano del nostro bene più grande: la libertà. Ci spogliano della libertà.
Amici, Gesù è il Signore del rischio, è il Signore del sempre “oltre”. Gesù non è il Signore del confort,
della sicurezza e della comodità. Per seguire Gesù, bisogna avere una dose di
coraggio, bisogna decidersi a cambiare il divano con un paio di scarpe che ti
aiutino a camminare su strade mai sognate e nemmeno pensate, su strade che
possono aprire nuovi orizzonti, capaci di contagiare gioia, quella gioia che
nasce dall’amore di Dio, la gioia che lascia nel tuo cuore ogni gesto, ogni
atteggiamento di misericordia. Andare per le strade seguendo la “pazzia” del
nostro Dio che ci insegna a incontrarlo nell’affamato, nell’assetato, nel nudo,
nel malato, nell’amico che è finito male, nel detenuto, nel profugo e nel
migrante, nel vicino che è solo. Andare per le strade del nostro Dio che ci
invita ad essere attori politici, persone che pensano, animatori sociali. Che
ci stimola a pensare un’economia più solidale di questa. In tutti gli ambiti in
cui vi trovate, l’amore di Dio ci invita a portare la Buona Notizia, facendo
della propria vita un dono a Lui e agli altri. E questo significa essere
coraggiosi, questo significa essere liberi!
Potrete dirmi: Padre, ma questo non è per tutti, è solo per alcuni
eletti! Sì, è vero, e questi eletti sono tutti quelli che sono disposti a
condividere la loro vita con gli altri. Allo stesso modo in cui lo Spirito
Santo trasformò il cuore dei discepoli nel giorno di Pentecoste – erano paralizzati – lo ha fatto
anche con i nostri amici che hanno condiviso le loro testimonianze. Uso le tue
parole, Miguel: tu ci dicevi che il giorno in cui nella “Facenda” ti hanno
affidato la responsabilità di aiutare per il migliore funzionamento della casa,
allora hai cominciato a capire che Dio chiedeva qualcosa da te. Così è
cominciata la trasformazione.
Questo è il
segreto, cari amici, che tutti siamo chiamati a sperimentare. Dio aspetta
qualcosa da te. Avete capito? Dio aspetta qualcosa da te, Dio vuole qualcosa da
te, Dio aspetta te. Dio viene a rompere le nostre chiusure, viene ad aprire le
porte delle nostre vite, delle nostre visioni, dei nostri sguardi. Dio viene ad
aprire tutto ciò che ti chiude. Ti sta invitando a sognare, vuole farti vedere
che il mondo con te può essere diverso. E’ così: se tu non ci metti il meglio
di te, il mondo non sarà diverso. E’ una sfida.
Il tempo che oggi stiamo vivendo non ha bisogno di giovani-divano /
młodzi kanapowi, ma di giovani con le scarpe, meglio ancora, con gli scarponcini calzati. Questo
tempo accetta solo giocatori titolari in campo, non c’è posto per riserve. Il
mondo di oggi vi chiede di essere protagonisti della storia perché la vita è
bella sempre che vogliamo viverla, sempre che vogliamo lasciare un’impronta. La
storia oggi ci chiede di difendere la nostra dignità e non lasciare che siano
altri a decidere il nostro futuro. No! Noi dobbiamo decidere il nostro futuro,
voi il vostro futuro! Il Signore, come a Pentecoste, vuole realizzare uno dei
più grandi miracoli che possiamo sperimentare: far sì che le tue mani, le mie
mani, le nostre mani si trasformino in segni di riconciliazione, di comunione,
di creazione. Egli vuole le tue mani per continuare a costruire il mondo di
oggi. Vuole costruirlo con te. E tu, cosa rispondi? Cosa rispondi, tu? Sì o no?
Mi dirai:
Padre, ma io sono molto limitato, sono peccatore, cosa posso fare? Quando il Signore ci chiama non pensa a ciò
che siamo, a ciò che eravamo, a ciò che abbiamo fatto o smesso di fare. Al
contrario: nel momento in cui ci chiama, Egli sta guardando tutto quello che
potremmo fare, tutto l’amore che siamo capaci di contagiare. Lui scommette
sempre sul futuro, sul domani. Gesù ti proietta all’orizzonte, mai al museo. Per questo, amici, oggi Gesù ti invita, ti
chiama a lasciare la tua impronta nella vita, un’impronta che segni la
storia, che segni la tua storia e la storia di tanti. La vita di oggi ci dice
che è molto facile fissare l’attenzione su quello che ci divide, su quello che
ci separa. Vorrebbero farci credere che chiuderci è il miglior modo di
proteggerci da ciò che ci fa male. Oggi noi adulti – noi, adulti! – abbiamo
bisogno di voi, per insegnarci – come adesso fate voi, oggi – a convivere nella
diversità, nel dialogo, nel condividere la multiculturalità non come una
minaccia ma come un’opportunità. E voi siete un’opportunità per il futuro.
Abbiate il coraggio di insegnarci, abbiate il coraggio di insegnare a noi che è
più facile costruire ponti che innalzare muri! Abbiamo bisogno di imparare
questo. E tutti insieme chiediamo che esigiate da noi di percorrere le strade
della fraternità. Che siate voi i nostri accusatori, se noi scegliamo la via
dei muri, la via dell’inimicizia, la via della guerra. Costruire ponti: sapete
qual è il primo ponte da costruire? Un ponte che possiamo realizzare qui e ora:
stringerci la mano, darci la mano. Fate questo ponte umano, datevi la mano,
tutti voi: è il ponte primordiale, è il ponte umano, è il primo, è il modello.
Sempre c’è il rischio – l’ho detto l’altro giorno – di rimanere con la mano
tesa, ma nella vita bisogna rischiare, chi non rischia non vince. Con questo
ponte, andiamo avanti. Qui, questo ponte primordiale: stringetevi la mano.
Grazie. E’ il grande ponte fraterno, e possano imparare a farlo i grandi di
questo mondo!… ma non per la fotografia - quando si danno la mano e pensano
un’altra cosa -, bensì per continuare a costruire ponti sempre più grandi. Che
questo ponte umano sia seme di tanti altri; sarà un’impronta.
Oggi Gesù,
che è la via, chiama te, te, te a lasciare la tua impronta nella storia. Lui,
che è la vita, ti invita a lasciare un’impronta che riempia di vita la tua
storia e quella di tanti altri. Lui, che è la verità, ti invita a lasciare le
strade della separazione, della divisione, del non-senso. Ci stai? Ci stai?
Cosa rispondono adesso - voglio vedere - le tue mani e i tuoi piedi al Signore,
che è via, verità e vita? Ci stai? Il Signore benedica i vostri sogni. Grazie!
Nessun commento:
Posta un commento